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domenica 10 ottobre 2010

UGL MINISTERI SU EMERGENZA CARCERE:OCCORRE INTERVENIRE SUBITO E ASSUMERE NUOVO PERSONALE EDUCATIVO.

UNIONE GENERALE DEL LAVORO

Prot. n. 9_763_GIUSTIZIA Roma, 2 settembre 2010

Info Giustizia n. 52

ANCORA SULL'EMERGENZA CARCERE


Lettera aperta al Ministro


Gennaro, un vecchio appuntato degli allora agenti di custodia (oggi polizia penitenziaria) quando

dalla finestrella della sezione, attraverso le sbarre, intravedeva il sole splendere alto nel cielo

limpido e azzurro durante una delle tante giornate estive, era solito esclamare, con l'aria di chi la

sa lunga ed esprime una grande verità: "che bella giornata, speriamo che nessuno si impicca !"

La prima volta, non capii bene il significato di quella frase, quasi vi fosse al suo interno una

implicita contraddizione, ma mi bastò poco, per comprendere come la privazione della libertà sia

una cosa così gravosa e terribile, da rendere ancora più acuta e lacerante la separazione dal

mondo esterno, ed anche una cosa semplice e naturale, come è appunto una bella giornata di

sole, può innescare nel detenuto la disperazione più estrema.

Ma a parte queste considerazioni, è indubbio che con l'arrivo della stagione estiva, aumentino

all'interno degli istituti di pena i disagi, la sofferenza ed anche, purtroppo, i suicidi.

Il numero dei ristretti nelle carceri italiane non è mai stato così elevato: si contano oggi quasi

70mila individui, al 95% di sesso maschile, con un numero sempre crescente (che in alcuni istituti

ha raggiunto il 50% delle presenze) di stranieri extracomunitari, ultimi tra gli ultimi, i più disperati

tra i disperati perché spesso privi di qualsiasi riferimento sul territorio.

Molte volte abbiamo scritto, citando Beccaria, Ghandi e tanti altri illustri pensatori, che la civiltà di

un Paese si misura anche dallo stato delle sue carceri: perché, se è vero che la pena ha carattere

affettivo ed è la risposta dello Stato, prevista dalla legge, a chi ha violato le norme della

convivenza civile, è altrettanto vero che la parte affettiva deve esaurirsi con la privazione della

libertà.

Non è infatti accettabile, in un Paese civile e democratico, che coloro i quali scontano una

condanna, o sono addirittura ancora in attesa di giudizio, e quindi, presunti innocenti secondo la

nostra Costituzione, debbano vivere stipati in celle anguste che dovrebbero ospitare la metà di

loro.

Il caldo, la carenza di opportunità lavorative, le lungaggini interminabili della fase processuale, per

tutti quelli che non sono in espiazione di condanna, rendono quella che già di per sé è una

esperienza molto dura, un vero e proprio inferno.
 
Dall'inizio dell'anno, sono oltre 100 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere, segno di un disagio


che troppo spesso diventa disperazione, assoluta e devastante.

Provvedimenti come l'indulto di qualche estate fa, o progetti come il piano carceri attuale che

prevede la costruzione di numerose nuove strutture, da soli purtroppo non sono bastati e non

basteranno a risolvere l'emergenza carceri.

Infatti, il problema riguarda l'intero apparato della giustizia, a partire dalla fase processuale: troppo

lunghi i tempi per l'esaurimento dell'intero iter, articolato su tre gradi di giudizio, troppo poco il

personale in servizio negli uffici giudiziari per far fronte ad una mole sempre crescente di

procedimenti.

L'immagine che ci viene in mente, è quella di vecchio veliero scricchiolante, ove l'acqua che entra

dalle numerose falle che si sono aperte sulla chiglia, è tanta di più di quella che pochi e volenterosi

marinai cercano di ributtare a mare utilizzando dei piccoli secchi: ed il destino di questa nave, se le

cose non cambieranno presto, è quello di affondare.

L'alleggerimento della pressione sulle carceri deve passare non soltanto dalla riduzione dei tempi

processuali, ma anche da una migliore gestione delle condanne esecutive, nel senso di destinare

alla detenzione gli autori dei reati più gravi e di maggior allarme sociale, prevedendo invece per la

delinquenza di minore livello, tutta una serie di percorsi alternativi al carcere tradizionale: la

modulazione delle misure alternative, dell'affidamento, della semilibertà, della detenzione

domiciliare, deve realmente costituire una via alternativa, e non meramente residuale, al carcere

classico, prevedendo l'impiego di questi condannati in lavori di utilità sociale.

All'interno degli istituti, va rafforzata in maniera significativa, attraverso nuove assunzioni, la


presenza del personale, da quello di polizia penitenziaria, a quello tecnico responsabile del


trattamento, quali gli educatori penitenziari per il trattamento intramurale e gli assistenti sociali

per quello extramurale.

I mali che affliggono la giustizia nel suo complesso, dal settore giudiziario a quello penitenziario,

vanno affrontati in maniera globale e sinergica, e non parcellizzata: altrimenti, si corre il rischio di

curare solo qualche sintomo, senza però guarire dal male, oramai cronico.

Ma occorre far presto, perché la misura è colma e le statistiche sulle morti in carcere, ne sono il

terribile segnale: e non vorremmo dover dare ragione, ancora una volta, al buon Gennaro, e dover

pensare che il carcere, che dovrebbe servire anche a risocializzare e a dare una speranza a chi vi è

rinchiuso, sia invece soltanto un girone dell'inferno dantesco, popolato da uomini e donne che

hanno perso ogni speranza, perché questo riporterebbe il nostro Paese indietro di qualche secolo.


Il Coordinatore Nazionale

Paola Saraceni

(347/0662930)

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