Notizie di stampa riferiscono che la U.E. si appresta a chiedere chiarimenti allo Stato Italiano in merito al trattamento fiscale riservato alla Chiesa Cattolica.
Dichiarazione del presidente di Assoedilizia e vice presidente di Confedilizia Achille Colombo Clerici:
« La logica seguita da coloro che hanno originato con i loro esposti l'azione della U.E. porterebbe a cassare questo trattamento anche per le altre Confessioni religiose convenzionate con lo Stato italiano, nonche' le agevolazioni ed il 5 per mille stabiliti a favore di tutte le Onlus.
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L'Unione Europea è una istituzione ibrida dal punto di vista politico: non fa politica dove occorrerebbe, ad esempio nel campo delle relazioni estere a sostegno della politica monetaria, mentre finisce a farla dove non dovrebbe .
Come avviene chiaramente a proposito della questione del rapporto, tra lo stato e le confessioni religiose convenzionate, in materia fiscale.
E con grave lesione delle prerogative dello Stato Italiano da una parte e delle diverse confessioni , dall'altra.
Infatti, nel momento in cui l'Unione chiede chiarimenti in merito al trattamento fiscale riservato ad alcune strutture in cui si svolgono attivita' religiose, finisce inesorabilmente per sindacare la natura delle medesime attivita', quale è riconosciuta dallo Stato Italiano.
Che poi, nella specie la questione si evidenzi maggiomente per la Chiesa Cattolica ( tanto da indurre i suoi detrattori e, come sembra, la U.E. a citare solo questa, con un enorme impatto negativo in termini mediatici) non sposta minimamente la questione; dipendendo esclusivamente dall'essere la Chiesa, per motivi culturali e storici, maggiormente radicata nel nostro Paese.
La disciplina fiscale messa sotto indagine dalla U.E. discende per tutte le confessioni dalla legislazione italiana. Per quella Cattolica in particolare, discende, oltre che dalle stesse norme che valgono per tutte le altre, anche dal Concordato con la Santa Sede, quindi da un trattato internazionale che vincola l'Italia in modo comunque non sindacabile dall'Unione.
Ma,se stiamo alla pura e semplice legislazione nazionale possiamo dire che nella norma dell'art. 7. comma 1, lettera i) del Decr. Lgs. 504/92 risiede gia' un fondamento pieno.
La Circolare Ministeriale n. 2/DF del 26 gennaio 2009, nel fornire chiarimenti in merito alle esenzioni Ici per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali,fissa due presupposti ai fini della applicazione dell'esenzione:
1- Il primo di natura soggettiva, richiamando la nozione di ente non commerciale ai sensi dell'art. 73, comma 1, lettera c) del Tuir ("enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale").
2- Il secondo di natura oggettiva, in quanto gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali devono essere esclusivamente destinati allo svolgimento delle attività enunciate nell'art. 7, comma 1, lettera i) del Decr. Lgs. 504/92
In particolare, l'art. 7 del Decreto Legislativo 504/92 elenca tassativamente le attività che possono fruire dell'esenzione:
1- attività assistenziali;
2- attività previdenziali;
3- attività sanitarie;
4- attività didattiche;
5- attività ricettive;
6- attività culturali;
7- attività ricreative;
8- attività sportive;
9- attività di religione e di culto.
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Resta comunque fermo che non risulta sufficiente il mero possesso dell'immobile ai fini dell'esenzione Ici, ma occorre che esso venga effettivamente utilizzato, per l'esercizio della propria attività, direttamente dal titolare del diritto reale.
E dunque,una decisione di interdizione da parte dell'unione riguardo a questa norma finirebbe col toccare anche una miriade di enti "laici" senza scopo di lucro quali ad esempio associazioni culturali, filantropiche, sportive, ricreative che svolgono in via di sussidiarieta' una serie di attivita' di interesse sociale e comune; enti per i quali, di fronte ad un trattamento fiscale agevolativo, non si pone certamente il discorso della violazione dei principi di divieto di aiuto di Stato ( sul quale l'Unione vuole chiarezza) posto che gli stessi enti non svolgono per loro natura una attivita' economico-commerciale.
Riflessioni simili possono esser fatte a maggior ragione per gli enti appartenenti alle confessioni religiose; ed a maggior ragione ancora per la chiesa cattolica in virtu degli accordi concordatari.
A- Lo Stato riconosce che l'attività religiosa e di culto è di interesse collettivo e generale, cioè pubblico, al pari dell'istruzione, della tutela militare, della tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, della garanzia giurisdizionale e via dicendo.
Chi esercita tale attività svolge un servizio pubblico.
Perciò, come nessuno si meraviglia se lo Stato non paga le imposte sulle mense e sui circoli ricreativi e sportivi militari, giudiziari, ove esistono, scolastici e via dicendo, così nessuno si meraviglierebbe se lo Stato, gestendo oratori, campi sportivi e ricreativi, mense e refettori, case di accoglienza religiosi non pagasse le imposte su tali attività e strutture.
B- Ma lo Stato non esercita direttamente l'attività religiosa e di culto, né delega il suo esercizio alle diverse confessioni. Esso riconosce che l'attività stessa, esercitata dalle diverse confessioni, secondo i propri fini istituzionali e secondo le regole proprie di ciascuna di esse, vada per ciò stesso considerata attività di interesse collettivo.
Ogni confessione esercita dunque, in via autonoma ed insindacabile da parte dello Stato, la funzione di culto e di religione;
C- La Chiesa ha previsto istituzionalmente una distinzione fra attività principali ed attività complementari di religione.
Fra le prime la celebrazione del culto, i riti e le liturgie, la catechesi, la missionarietà, la vita e l'organizzazione del clero, l'educazione religiosa: fra le altre le attività ricreative, culturali, didattiche, ricettive, caritative, assistenziali e quant'altro la Chiesa ritiene utile alla sua missione.
Conseguentemente tutte le strutture e le attrezzature in cui viene svolta, secondo i fini istituzionali detti, un'attività sia principale, sia complementare di religione e di culto,sono da ritenersi equiparate, sul piano della loro diretta destinazione alla funzione pubblica cui assolve la Chiesa.
D- È la Chiesa stessa poi a riconoscere che una serie di beni (i cosiddetti strumentali) non hanno una finalizzazione diretta ai compiti della Istituzione; ma producono puramente un reddito.
Il reddito viene dunque assoggettato a tassazione, cosi come il bene, se immobile, è soggetto a ICI.
F- Coerentemente per l'applicazione della esenzione ICI agli immobili degli enti religiosi devono ricorrere i due presupposti sopra citati.
Le ricorrenti polemiche sull'ICI relativa ai beni della Chiesa non trovano spiegazione, dunque, sul piano giuridico; ma piuttosto con la pretesa di affermare una concezione laicista , basata sull'assunto che lo Stato non debba riconoscere la componente spirituale come parte integrante della persona umana; al pari della salute, della integrità ed incolumità fisiche, della istruzione e della cultura, della sfera affettiva, relazionale lavorativa; aspetti tutti,dei quali lo Stato si occupa direttamente,a pieno titolo.
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