L'inferno è dentro e fuori. Poggioreale vuol dire condizioni disumane per chi finisce in cella e per chi è costretto a farvi visita. Una vita impossibile. Anzi. «Una non vita», dice uno dei prigionieri al plotoncino formato dal consigliere regionale Corrado Gabriele, dal garante dei detenuti Adriana Tocco e dal direttore dell'istituto di pena, Cosimo Giordano. A Poggioreale i reclusi sono 2666: secondo l'associazione Antigone oltre mille in più rispetto alla capienza tollerabile. Solo 17 gli educatori. Un carcere dove nei primi sei mesi dell'anno si è registrato un suicidio e dove i parenti (per effettuare i colloqui) arrivano lì davanti in piena notte. E poi attendono il turno per ore: perchè sono in troppi, pure loro. Ma non ci sono fondi per costruire ambienti migliori: tre milioni di euro sono svaniti nel percorso tra le istituzioni ed il carcere. Sacchi blu in mano dove viene stipato di tutto, i parenti dei detenuti aspettano e aspettano. C'è chi si sente male e chi, come Patrizia, ha deciso di montare un ombrellone e su un tavolino raccoglie firme per il Camper della Speranza: «Domani qui davanti facciamo una protesta». Dentro, ovviamente, è peggio. Celle che garantiscono due metri quadrati di sopravvivenza per ogni detenuto: sono anche in nove in appena 18 metri quadri. Per 22 ore al giorno. Soltanto 120 i minuti di passeggiata forzata concessi all'aria aperta. Niente refrigerio, dietro la tendina bagni spesso non funzionanti. «Qui facciamo i turni per stare in piedi, non c'è lo spazio – racconta Enzo – la notte qui si soffoca, c'è una sola finestra e quando chiudono la porta blindata non si respira più». La cella accanto ecco Giuseppe, 32 anni. Si trascina il catetere. Da sette mesi. «Aspetto la chiamata dal Cardarelli, ma non arriva. Mi potete aiutare?». Nessuno risponde. di Mario Fabbroni Leggo
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