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venerdì 9 luglio 2010

basta annunci di Caliendo,emergenza carceri richiede non solo assunzione agenti,ma soprattutto di educatori,assistenti e psicologi.DDl Pena domiciliare è inutile se mancano tali figure perche' non ci sara' alcuna relazione da inviare al magistrato per co



Basta annunci di Caliendo,emergenza carceri richiede non solo assunzione agenti,ma soprattutto di educatori,assistenti e psicologi.DDl Pena domiciliare è inutile se mancano tali figure perche' non ci sara' alcuna relazione da inviare al magistrato per concessione misura!

 

 CAMERA DEI DEPUTATI - XVI LEGISLATURA


Seduta n. 347 di lunedì 5 luglio 2010



Discussione del disegno di legge: Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene


detentive non superiori ad un anno (Testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del


disegno di legge n. 3291, deliberato dall'Assemblea il 12 maggio 2010)





Presidente.

L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge d'iniziativa del Governo:

Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un

anno (Testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del disegno di legge n. 3291, deliberato

dall'Assemblea il 12 maggio 2010).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3291-bis-A)


Presidente.

Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che i presidenti dei gruppi

parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza

limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto,

altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il relatore,

onorevole Papa, ha facoltà di svolgere la relazione.


Alfonso Papa, Relatore.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo,

preliminarmente vorrei porre l'accento sul fatto che questo disegno di legge - il quale, nella parte

che residua dallo stralcio, concerne l'esecuzione domiciliare della pena, per le pene detentive non

superiori ad un anno nell'ultimo anno di detenzione - tocca un tema di pressante attualità, sul quale

si è drammaticamente chiusa la precedente legislatura e sul quale si è aperta quella attuale. Si tratta,

fondamentalmente, del tema del sovraffollamento carcerario, nonché dell'esigenza di porre in

essere misure per intervenire sia sull'esecuzione della pena in termini di umanità e rieducazione, sia

su un sistema che necessita di interventi radicali.

Dico questo perché, su tale materia, si è svolto un dibattito approfondito in Commissione che oserei

definire caratterizzato da luci ed ombre. Dobbiamo ricordare a noi stessi, a questo Parlamento e

all'opinione pubblica - che ci segue e che spesso ci rammenta ciò essa stessa - che la popolazione

carceraria effettiva è oggi di quasi quattro volte superiore alle capacità di contenimento delle

strutture che abbiamo in essere.

Dobbiamo, altresì, ricordare che ci avviciniamo drammaticamente ad una stagione estiva, anzi

siamo nel pieno di questa stagione, dove l'esperienza insegna che all'interno delle carceri e delle

celle sovraffollate nei termini e con le modalità che dicevo prima le temperature rasentano cifre

impressionanti che a volte si avvicinano quasi ai 50 gradi.

È di ieri l'ultima visita del Pontefice ad una struttura penitenziaria, quella di Sulmona. È inutile che

stia qui a ricordare come tante volte sia stata messa in evidenza - da parte della Chiesa, della

maggioranza, dell'opposizione, di intellettuali e di operatori - la situazione nella quale versa il

sistema carcerario.

Abbiamo un Governo impegnato in un programma radicale di interventi urgenti su questa materia,

sul quale si andava a collocare inizialmente questo disegno di legge. Con una punta di delusione,

ma, nondimeno con il mutato spirito costruttivo e il desiderio di concludere un provvedimento di

cui vi è un oggettivo bisogno e rispetto al quale auspico una convergenza che non può non essere al

di là delle contrapposizioni ideologiche o politiche, devo dire che oggi ci troviamo a trattare

questioni che sono un po' il cuore di questa materia.

Inizialmente, questo provvedimento aveva un carattere più generale e più complessivo. Oggi, di

questo provvedimento, giunge in discussione in Aula una delle due componenti, ossia l'esecuzione

domiciliare dell'ultimo anno di pena detentiva.

Su questo provvedimento l'assetto originario era organico ed ampio e tendeva ad intervenire sulla

definizione complessiva della pena e sugli interventi che il Governo intendeva fare sulla stessa.

Devo dire che il fatto che sia stata espunta la parte sulla messa alla prova - su cui mi soffermerò brevemente
 
dopo - incide certamente negativamente sul portato complessivo che poteva avere e sul


quale contiamo sia possibile ritornare.

Dobbiamo anche ricordare che questo provvedimento ripeteva, nella sua fase originaria, in buona

sostanza, un intervento di carattere analogo che era stato predisposto dal Ministero della giustizia

proprio all'indomani del tanto criticato provvedimento sull'indulto - che recava la firma dell'allora

sottosegretario Li Gotti - e che introduceva un meccanismo di messa alla prova su reati di minore

allarme sociale e di non particolare alta gravità. Esso introduceva un meccanismo simile a quello in

essere nell'ordinamento francese e in altri ordinamenti attraverso il quale, con delle modalità

premiali, il soggetto poteva sottrarsi al processo accettando di essere messo alla prova e di avviare

un percorso rieducativo. Tutto ciò allo scopo, all'epoca sentito - proprio perché si era all'indomani

del provvedimento sull'indulto - di avviare una riflessione nuova su tutte le modalità deflattive del

processo e dell'esecuzione della pena.

Questa parte della messa alla prova ha trovato forte opposizione in Commissione e, soprattutto,

nella componente politica e culturale che all'epoca era stata promotrice - attraverso l'allora

sottosegretario - della medesima parte che oggi è stata stralciata. Di questo ci dogliamo, ma

vogliamo rappresentare il fatto unicamente in un'ottica costruttiva e in uno spirito di collaborazione

che certamente non sfuggirà alla parte più sensibile della componente politica dell'opposizione che

ha attaccato quella parte del provvedimento, e che, siamo convinti, nel corso dell'esame di questo

disegno di legge fornirà, non di meno, un contributo leale e meditato per portare avanti un

provvedimento che nella parte in cui residua - purtroppo, dobbiamo dire - si occupa a questo punto

di un'emergenza che è quella alla quale facevo riferimento, ossia di un intollerabile

sovraffollamento carcerario.

Dobbiamo anche dire che nella formulazione originaria il provvedimento non si caratterizzava per

essere un intervento tampone, o un intervento a tempo, o un intervento che si limitava a gestire una

specifica emergenza, ma voleva intervenire anche sulla parte della definizione della pena residua,

nell'ultimo anno di detenzione, con una normativa stabile che potesse fungere da ponte sino alla

ridefinizione del piano carceri e alla ridefinizione di quel processo riformatore rispetto al quale il

Ministero della giustizia è impegnato sin dall'inizio della legislatura, e il Parlamento è in attesa dei

relativi frutti.

Oggi tutto questo non è stato possibile perché, al fine di venire incontro a quelle che sono state

ulteriore considerazioni - fatte questa volta anche da parti del Parlamento che sostengono la

maggioranza politica che dà la fiducia a questo Governo - si è intervenuto anche su questi altri

elementi.

Per tali motivi abbiamo dato vita, in sostanza, in Commissione, ad una scissione delle due anime di

quel provvedimento; oggi residua solo la prima parte, quella cioè relativa alla possibilità di far

scontare al detenuto l'ultimo anno di detenzione presso la propria abitazione.

Si è intervenuto anche sul tema delle modalità con cui questa opportunità può essere concessa e per

il momento si è accantonata la parte relativa alla messa alla prova.

Ma questo iter è importante e da tenere a mente nella discussione che ci accingiamo a svolgere

perché questo provvedimento aveva ed ha probabilmente tutte le caratteristiche per ottenere la

possibilità di una definizione anche in sede di Commissione in via legislativa. Certamente oggi in

Aula - e a maggior ragione nella qualità di relatore - mi permetto di fare appello a tutte le forze

politiche affinché il provvedimento possa avere una definizione celere e soddisfacente.

Il testo, così come oggi viene ad essere consegnato, si compone di cinque articoli che sono composti

da due originari, presenti nel disegno di legge nella sua originaria formulazione, e altri tre che sono

stati successivamente introdotti dalla Commissione.

Il nucleo centrale di questo provvedimento è caratterizzato dall'articolo 1, che intervenendo

sull'esecuzione della pena stabilisce che la pena detentiva non superiore a 12 mesi - o parte residua

di maggior pena - può essere eseguita presso l'abitazione del condannato o in altro luogo idoneo e

riconosciuto. Rispetto al testo originario sono state apportate due modifiche sostanziali: la prima è

stata quella di trasformare la previsione da una modalità in via definitiva a una in via temporanea.

Questa disposizione ha un termine fissato al 31 dicembre 2013, che deriva dalla sintesi di varie

esigenze rappresentate in Commissione. Tale termine, dunque, sostanzialmente va a coincidere con
 
l'approvazione definitiva del piano carceri. Tutto questo da un lato avvicina questa normativa ad


una di carattere emergenziale, proprio per quanto affermavo prima; d'altro canto, chiama a maggior

ragione il Parlamento ad uno sforzo di responsabilità, cui per primo si è sottoposto il Governo,

accettando un termine che lo chiama, entro tale data, a dare seguito alla definizione di quel piano

carceri sul quale si è tanto dibattuto nel corso di questi mesi e sul quale in Commissione il

sottosegretario ha più volte dato ampie rassicurazioni per quel che riguarda lo stato di avanzamento

delle attività e dei lavori.

Da questo punto di vista il provvedimento mira, quindi, ad incidere sul tema del sovraffollamento e

ad alleggerirlo. Quello che dobbiamo tener presente è che già oggi questo provvedimento, una volta

approvato, consentirebbe ad una popolazione penitenziaria pari a circa il 32 per cento di quella

complessiva di poter accedere ad un beneficio che, ricordiamolo, non è neanche più previsto, come

vedremo, in via automatica ma viene affidato, comunque, alla cognizione di un magistrato con

modalità peraltro non dissimili da istituti che vi si avvicinano e che a regime vigente sono già

operativi, seppure con presupposti e modalità differenti.

Il tema della discrezionalità del giudice è importante perché prevede un contributo significativo del

magistrato di sorveglianza e del pubblico ministero, in termini di cognizione e di valutazione. Il

provvedimento viene quindi emesso all'esito di un'istruttoria e, dunque, si definiscono e si

caratterizzano ancora di più alcuni limiti soggettivi ed oggettivi che erano già previsti nella

formulazione originaria del provvedimento.

Su questo provvedimento si sono dette tante cose. La lettura del testo, ad esempio, consente

agevolmente di comprendere che a questo provvedimento non può essere ammesso il detenuto che

non ha un domicilio, o che non ha un domicilio tale da poter essere considerato idoneo ad una

forma di detenzione quale quella domiciliare.

Quindi, la paventata ipotesi di persone che, ammesse a questo beneficio, poi di fatto si renderebbero

irreperibili, è un'ipotesi impossibile o dovremmo immaginare che sia legata ad una erronea

cognizione da parte dell'autorità giudiziaria a ciò preposta che, invece, è chiamata a fare questo tipo

di valutazione.

Allo stesso modo, per quello che riguarda i recidivi e i soggetti che già nel passato si sono

caratterizzati per reati connessi a quello dell'evasione o si siano resi responsabili di episodi di

latitanza o parificabili, essi sono considerati soggetti che non possono beneficiare di questo

provvedimento.

Tutto questo perché? Tutto questo (lo ricordo brevemente) proprio per far comprendere all'opinione

pubblica che questo provvedimento non è un indulto mascherato, né quel provvedimento "svuota

carceri" che in maniera impropria, e forse anche volgare, qualcuno ha ritenuto di voler indicare.

Dobbiamo poi ricordare che vi sono casi in cui il provvedimento non può essere applicato e poi può

convivere con misure alternative alle quali il soggetto può essere affidato, laddove ne ricorrano i

presupposti.

Dobbiamo dire che in Commissione si è approfondito anche il tema della convivenza tra questi

provvedimenti e l'ipotesi di programma di recupero di tossicodipendenti, di alcoldipendenti o di

soggetti che manifestino un disagio sociale particolare ulteriore rispetto a quello nascente dal fatto

per il quale il soggetto è detenuto, ma tutto questo proprio per valorizzare il tema del recupero

anche in questo ambito.

L'articolo 2 prevede una forte incidenza della pena per quel che riguarda l'ipotesi di evasione per i

soggetti ammessi a questo provvedimento, così come gli articoli successivi (3 e 4) intervengono su

temi relativi ai costi e al contenimento degli stessi. In particolare, l'articolo 5, (introdotto, come

dicevo, come gli articoli 3 e 4) dalla Commissione affronta il tema del rafforzamento dei Corpi di

polizia penitenziaria, dei soggetti preposti alle attività di controllo e vigilanza.

Su di essi (non ci nascondiamo) è nata ed è in corso una discussione che chiama tutto l'apparato

statale a uno sforzo di responsabilità che certamente non può ricadere, per quelle che sono le

esigenze organizzative e di costo delle amministrazioni penitenziarie di pubblica sicurezza, sulle

condizioni, non consone spesso ai parametri europei, alle quali sono tenuti a soggiacere i detenuti

italiani all'interno di strutture che oggi manifestano limiti di sovraffollamento non più accettabili.
 
Per questo concludo, signor Presidente, ringraziando per l'attenzione e ricordando che questo è un


tema sul quale è necessario agire con responsabilità ed urgenza, affinché non si venga a nostra volta

ad essere "agiti" da pericoli e forme di reazione che con il sovraffollamento, con il caldo e con le

previsioni che sempre più spesso si fanno di iniziative anche violente e di protesta nelle carceri,

potrebbero caratterizzare questa estate.

Presidente. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

È iscritto a parlare l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.


Lanfranco Tenaglia.

Signor Presidente, appena ieri il Santo Padre, nel visitare la città di Sulmona,

ha voluto ancora una volta esprimere la sua attenzione e la sua opera pastorale verso i detenuti.

Si tratta dei detenuti di un carcere mediaticamente indicato come il "carcere dei suicidi", nel quale

più incidenza ha avuto la situazione drammatica di sovraffollamento e di disagio nel determinare

gesti estremi fra i detenuti quali quelli del suicidio.

Siamo consapevoli che quella carceraria è una delle emergenze della giustizia italiana e che essa è

strettamente legata all'altra emergenza, cioè la crisi del funzionamento del processo ovvero della

irragionevole durata dei processi. Entrambe le crisi andrebbero affrontate con un intervento di

riforma e di innovazione sistematico e complessivo. Ciò non viene fatto nel nostro Paese da tempo e

credo che - poi spiegherò come - occorra finalmente intraprendere con decisione la strada che porta

alla soluzione definitiva di questi problemi (la carcerazione e il funzionamento del processo).

Il Partito Democratico si è posto di fronte a questo provvedimento con grande senso istituzionale e

con grande responsabilità, nella consapevolezza che questo è un intervento non di sistema, ma che

va fatto data l'emergenza che le carceri vivono. Certamente, così come era stato presentato nella

versione originaria, questo provvedimento non poteva essere adottato e non avrebbe risolto alcun

problema.

Infatti, era stato presentato come la soluzione definitiva e non lo sarebbe stato perché avrebbe

incontrato degli ostacoli notevoli nella sua applicazione, perché recava in sé il germe della

incostituzionalità nella concessione automatica dei benefici; perché non conteneva nessun tipo di

intervento su quelle strutture di servizio al sistema carcerario e nessun tipo di intervento di

rafforzamento degli organici delle funzioni della Polizia penitenziaria; perché conteneva un istituto

effettivamente da pensare e da riflettere, probabilmente anche da introdurre nel nostro ordinamento,

quale l'affidamento in prova, ma che avrebbe risolto il problema della crisi del processo e non del

carcere perché sul carcere, sulla detenzione e sul numero dei detenuti, per la platea dei reati verso i

quali era rivolta, avrebbe inciso poco.

Si tratta, comunque, di un istituto che ha una dignità di applicazione già nel nostro ordinamento e

che va pensato anche nella sua estensione ai reati degli adulti e non solo dei minori. Occorre

peraltro segnalare che su questo punto le perplessità e le opposizioni maggiori sono venute, nel

corso dell'iter che ha portato poi allo stralcio dell'istituto dell'affidamento in prova, da parti

rilevanti e importanti della maggioranza quali, la Lega Nord.

Nel merito di quello che è oggi il provvedimento al nostro esame, noi in Commissione abbiamo sin

dal primo momento ritenuto che questo provvedimento andasse fortemente incanalato e migliorato

per essere efficace e costituzionalmente conforme. Il lavoro fatto in Commissione secondo noi ha

portato ad un risultato positivo.

Correttamente il relatore ha detto che questo non è un indulto mascherato, è un provvedimento che

contiene il principio per cui la pena si sconta fino in fondo, sebbene con meccanismi che per

l'ultimo anno prevedono non la detenzione carceraria, ma quella domiciliare, e soprattutto si sconta

nella forma della detenzione domiciliare a seguito di una valutazione del giudice di sorveglianza

sulla circostanza che il condannato meriti questo beneficio.

Il provvedimento in esame assume le forme di una legge-ponte verso interventi che possano offrire

una soluzione definitiva al problema, quali il Piano carceri e la revisione delle normative sulle

misure alternative alla detenzione. Ecco perché questo è un percorso serio per affrontare un

problema, non quello dei proclami, dei facili slogan sulla necessità della certezza della pena o della

sicurezza dei cittadini. Quando affrontiamo questi problemi, infatti, dobbiamo ricordare che per
 
essere sicuro un Paese deve avere innanzitutto un sistema carcerario che produce redenzione,


recupero, non un sistema carcerario che produce altro crimine, cioè altri soggetti pronti a sbagliare

una seconda volta. Le statistiche sulla recidiva dei soggetti che beneficiano di forme premiali sulla

detenzione dimostrano chiaramente che il percorso di recupero, dell'applicazione costituzionale

della pena è l'unico percorso giusto per garantire non solo la funzione costituzionale della pena, ma

soprattutto la sicurezza dei cittadini.

Questo provvedimento, grazie all'opera realizzata in Commissione, contiene anche delle novità.

Contiene finalmente un intervento sulla Polizia penitenziaria e il riconoscimento della necessità che

il Parlamento controlli le modalità di applicazione di questa legge da parte della magistratura di

sorveglianza, della Polizia penitenziaria e delle strutture di supporto con la presentazione di una

relazione alle Camere per far sì che le stesse seguano l'iter legislativo.

Quello che non capiamo è come mai, una volta arrivati a questo percorso di condivisione e di

responsabilità comune nel cercare di dare un piccolo contributo alla soluzione di un problema

grande e grave, il Governo non sia stato indotto a dare il suo assenso allo svolgimento dell'esame in

sede legislativa a questo punto del lavoro (che adesso sì sarebbe stata utile e necessaria) e abbiamo

dovuto iniziare, invece, questa discussione in Aula. Spero che ciò non sia indice di ulteriori dubbi,

di ulteriori divisioni all'interno della maggioranza e che porti rapidamente il Governo a dare un

assenso su un provvedimento, sul quale già si registra una larga convergenza dei gruppi di

maggioranza e di opposizione, che, come ho già detto, non contiene alcun aspetto di liberazione

anticipata, di non effettività della pena, ma, anzi, rende la pena ancora più certa sia per coloro che

beneficeranno di questo sistema di detenzione domiciliare, sia per coloro che rimarranno a scontare

la pena dentro le strutture carcerarie.

La crisi del sistema carcerario in Italia è abbinata alla crisi del processo penale, è figlia della crisi

del processo penale.

Le statistiche più aggiornate ci dicono che circa 30 mila detenuti attualmente ristretti nelle nostre

carceri sono detenuti non definitivi, che cioè non hanno avuto una sentenza definitiva. Di questi 30

mila, circa 19 mila sono detenuti in custodia cautelare, cioè non hanno ricevuto ancora una sentenza

di primo grado.

Ciò evidenzia che la radice del problema sta nel funzionamento del processo. Quindi, una

maggioranza avveduta, che abbia a cuore tali problemi, avrebbe dovuto presentare un progetto di

riforma organica del processo, per rendere il processo penale finalmente effettivo e di ragionevole

durata.

La legislatura è ormai giunta ad un'età quasi adulta: stiamo entrando nella fase finale, nella seconda

metà della legislatura e di questa riforma, pur annunciata - in genere viene annunciata a luglio per

essere discussa a settembre o a dicembre per essere discussa a gennaio - non abbiamo visto ancora

neanche una riga scritta: una riforma di alcune parti del processo penale è rimasta arenata al Senato.

Se questa strada di riforma del processo penale non viene intrapresa, la normativa che ci accingiamo

a discutere e a varare sarà solo un "pannicello" caldo: il problema si riproporrà, perché l'entrata nel

sistema carcerario è determinata dai meccanismi di applicazione della custodia cautelare e

dall'estrema durata del processo penale.

Quindi, per responsabilità, abbiamo ritenuto di dover contribuire al miglioramento di questo testo e,

spero, al varo di un testo efficace: rimane, però, tutta la nostra critica per l'assenza di una politica di

riforma della giustizia complessiva e coerente, che abbia come fine quello dell'effettività dei

principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di effettività della pena.

Solo la responsabilità e la consapevolezza che un'opposizione, per essere veramente tale, deve

essere capace di dire dei "no", ma deve anche imporre i propri "sì" su questioni e su norme che

servono al Paese, permette di affermare che queste sono norme che possono servire, ma non

saranno la soluzione del problema (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione

di Centro).
 
Presidente. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà
 
 
Federico Palomba.
 
Signor Presidente, di fronte a provvedimenti tampone, che rappresentano pezze


su squarci importanti di una coperta che non tanto è troppo corta, ma che non serve - come la

crescente presenza penitenziaria dimostra -, noi dell'Italia dei Valori rimaniamo fortemente

perplessi, perché abbiamo già avuto occasione di rilevare che in questi due anni e mezzo di

Governo (due anni e poco più, ma comunque è molto tempo), non vi è stato ancora un

provvedimento organico, serio e risolutivo nei confronti dell'aumento crescente della popolazione

penitenziaria, quale quello che si è registrato dal momento in cui questo Governo si è insediato.

Non abbiamo visto niente di organico e di risolutivo: persino il cosiddetto piano carceri, di cui si è

cominciato a sentire parlare qualche mese fa, dopo uno o due anni di Governo, non lo conosciamo

ancora.

Conosciamo solo alcune espressioni, ma non quelle che dovrebbero costituire la parte più

importante e cioè quelle concernenti l'adeguamento del fabbisogno delle strutture penitenziarie alla

popolazione penitenziaria e gli interventi in favore della Polizia penitenziaria, la cui consistenza era

già insufficiente rispetto alla presenza ordinaria della popolazione penitenziaria, ma che ora

presenta una carenza, un vuoto di organico di cinquemila unità e di tremila unità nelle strutture

penitenziarie, cioè per l'assolvimento dei compiti cui esse sono demandate in quanto attribuite ad

altri compiti. Su questi due punti essenziali per il contenimento della pressione della popolazione

penitenziaria e comunque per affrontare meglio la presenza crescente dei detenuti il Governo non ha

presentato nessun provvedimento serio.

Ecco perché siamo molto perplessi, se non addirittura contrari, di fronte a provvedimenti che non

possono definirsi neanche provvedimenti tampone ed hanno il senso molto chiaro e netto soltanto di

una parziale, desiderata deflazione penitenziaria che comunque neppure si verificherebbe, almeno

in termini rilevanti - non dico risolutivi -, perché l'entità di circa il 30 per cento della popolazione

penitenziaria presente che uscirebbe dagli stabilimenti penitenziari in virtù di questa legge, l'entità

così indicata dal relatore, ci sembra assolutamente ottimistica. Infatti sappiamo che la maggior parte

della popolazione penitenziaria è rappresentata da soggetti nei confronti dei quali è stata emessa una

misura cautelare o da soggetti extracomunitari, che non hanno certo la possibilità di espiare la pena

in una situazione domiciliare, in quanto non hanno neanche il domicilio.

Perciò non possiamo dichiararci entusiasti di questo provvedimento che non risolve niente: è una

sorta di foglia di fico che il Governo vuole utilizzare per coprire una propria inadempienza molto

forte.

Ciò detto, non siamo così irresponsabili da non porci il problema della presenza della popolazione

penitenziaria e della sofferenza della Polizia penitenziaria insieme ai detenuti. È un problema che ci

poniamo, che abbiamo posto al Governo dal primo momento del suo insediamento, che vorremmo

fosse risolto in modo organico e definitivo e che invece questo provvedimento non risolve

assolutamente, né rappresenta un palliativo.

Perciò noi siamo fortemente perplessi di fronte ad un voto favorevole a questo disegno di legge,

anche perché non abbiamo visto una volontà decisa del Governo di intervenire in favore delle

strutture penitenziarie e della Polizia penitenziaria. Infatti non c'è nessuna disposizione che, ad

esempio, preveda l'aumento del personale di Polizia penitenziaria o misure in favore dell'aumento

delle strutture penitenziarie o della ristrutturazione e della migliore funzionalità di quelle esistenti,

né c'è un provvedimento che preveda un adeguamento delle forze ordinarie di polizia (Polizia di

Stato e carabinieri) sulle quali graverà, in definitiva, il compito di provvedere alla vigilanza sulla

esecuzione della detenzione domiciliare.

Perciò, ci sembra che questo provvedimento sia soltanto una misura, neanche un palliativo ma uno

specchietto per le allodole, per far capire che il Governo pone in essere dei provvedimenti in favore

della situazione carceraria, ma che in realtà non sono affatto provvedimenti risolutivi.

Noi pensiamo di aver apportato miglioramenti estremamente importanti a questo provvedimento.

Per esempio, in Commissione abbiamo contribuito ad evitare che si trattasse di provvedimenti

automatici, che non tenessero conto dell'effettiva personalità del condannato che dovrebbe espiare

la pena presso il domicilio o in una comunità. Abbiamo respinto fin dall'inizio ogni possibilità di

automatismo ed abbiamo preteso che ci fosse l'intervento della magistratura di sorveglianza per una

valutazione dell'opportunità di far espiare l'ultimo anno di detenzione presso il proprio domicilio.
 
Questo è stato accolto. È un atteggiamento che abbiamo assunto nell'ottica della riduzione del


danno, nell'ipotesi in cui la maggioranza avesse da sola la forza per approvare questo

provvedimento.

Inoltre, con i nostri emendamenti al testo approvato per l'Assemblea, abbiamo esplicitamente

previsto che ci fossero risparmi di spesa forti, di cui abbiamo dato conto puntigliosamente nel

nostro emendamento e nella nota esplicativa, sui diversi capitoli di spesa da utilizzare per tre

finalità. La prima è quella dell'aumento delle forze di polizia, sia della Polizia di Stato sia dei

carabinieri, sui quali graverebbe in più, benché si tratti di contingenti insufficienti anche per

svolgere i normali compiti di istituto, il compito della vigilanza sulle persone che espiano l'ultimo

anno di pena al domicilio. Non si può provvedere ad una riforma senza prevedere

contemporaneamente le ricadute anche in termini di personale e di risorse disponibili.

Ebbene, si sa che la Polizia di Stato e i carabinieri sono assolutamente insufficienti già oggi: ci sono

stati impedimenti al turnover e tagli ulteriori in questi settori, che già mortificano le forze di polizia

e ne riducono anche il contingente. Poiché ogni spesa deve essere giustificata, noi abbiamo

documentato tutto in modo preciso nei nostri emendamenti. Con un emendamento abbiamo previsto

l'aumento del contingente della Polizia di Stato e dei carabinieri, in modo che possano provvedere a

questo ulteriore compito che verrebbe a gravare su di loro. Con un altro emendamento, di cui

abbiamo previsto la copertura in maniera molto precisa, abbiamo previsto un accantonamento,

affinché diventi uno stanziamento, in favore dell'edilizia penitenziaria nuova oppure della

ristrutturazione di quella presente. Con un terzo emendamento, abbiamo previsto, dando

ugualmente giustificazione e motivazione della copertura, l'aumento del contingente degli agenti di

Polizia penitenziaria. Abbiamo voluto anche superare, rimodulando questi emendamenti, i rilievi

fatti dalla Commissione bilancio. Quindi, abbiamo omesso di indicare l'entità precisa degli aumenti

di questi contingenti delle forze di polizia e della Polizia penitenziaria, che risulteranno dall'entità

dei risparmi operati secondo le indicazioni che abbiamo dato nei nostri emendamenti.

Ho voluto citare questi emendamenti per dimostrare che ci poniamo in una dimensione seria di

approccio al problema, in una dimensione strutturale di risoluzione del problema, e non ci poniamo,

invece, in una dimensione soltanto contingente, che si risolve poi in fumo negli occhi e non risolve

il problema della popolazione detenuta né quello della Polizia penitenziaria, e comunque degli

operatori carcerari, verso i quali va la nostra estrema attenzione.

Le nostre forti perplessità discendono proprio da questo: il provvedimento in esame sembra fatto

per far pensare agli operatori carcerari che il Governo si sta occupando di questo problema, ma, in

realtà, non se ne sta occupando, e quindi si potrebbe risolvere in un'ulteriore delusione. Per noi vi

sono segni importanti, che verranno dal dibattito in Aula e anche dall'atteggiamento del Governo e

delle forze di maggioranza: se una gran parte di questi nostri emendamenti, che sono strutturali e

non soltanto congiunturali e limitati, verrà accolta, potremo valutare quale esito finale dare al

dibattito parlamentare per quanto riguarda il nostro voto; altrimenti, al momento, la nostra

valutazione sul provvedimento è estremamente critica.

Presidente. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.


Roberto Rao.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'Unione di Centro non

comprende le motivazioni del Governo, che ha deciso, fino a questo momento, la calendarizzazione

in Assemblea del provvedimento, rinunciando, di fatto, ad approvarlo direttamente in Commissione

in sede legislativa. L'Unione di Centro ritiene che il disegno di legge in esame rappresenti

senz'altro una scelta condivisibile.

Certo, lo consideriamo un palliativo rispetto alle reali esigenze del mondo carcerario e rispetto alle

promesse, ai cosiddetti pilastri della giustizia su cui doveva fondarsi la riforma della giustizia

promessa dal Ministro Alfano, ma su cui, finora, è poggiato ben poco, signor sottosegretario, con

nostro grande rammarico, viste anche le nostre aperture e la nostra disponibilità ad un confronto

serio sui temi reali della giustizia.

Questo provvedimento, però, ammette per la prima volta ciò che finora il Governo ha negato: non

solo e non tanto l'insostenibilità della condizione penitenziaria. Al 28 giugno scorso erano 68.206 i reclusi
 
nelle carceri, di cui 43.249 italiani e 24.957 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare


di 44.592 posti per i detenuti; praticamente, vi era posto soltanto per gli italiani, come direbbe

qualcuno. La capienza massima tollerabile è stimata in 66 mila posti, ma, insieme ai colleghi della

componente radicale del Partito Democratico, spesso ci chiediamo: la capienza massima tollerabile

da chi? Comunque, l'insufficienza e l'inefficacia del rimedio finora sbandierato è stata in qualche

modo ammessa dal Governo, l'insufficienza del rimedio immobiliare-edilizio, del sempre

annunciato e, purtroppo, ancora fantomatico piano carceri.

Siamo a metà legislatura: ancora il piano carceri, più volte annunciato, non si vede, e questo,

purtroppo, rischia di essere ricordato come l'annus horribilis per i detenuti in carcere. Abbiamo

assistito al maggior numero di suicidi dall'inizio dell'anno rispetto agli anni precedenti e,

soprattutto, vediamo in che condizioni, veramente drammatiche, vivono non soltanto i detenuti, ma

anche tutti coloro che operano nelle carceri.

Speriamo, soprattutto, che questa estate, che è sempre una stagione esplosiva per quanto riguarda il

problema carcerario, stavolta non sia in linea con quello che è successo fino a questo momento,

altrimenti si tratterebbe di una vera e propria ecatombe. Ricordiamo che di questo piano carceri si

iniziò a parlare, con la sua teorica definizione, nel Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2009,

quindi oltre un anno e mezzo fa.

Signor sottosegretario, valuteremo con grande attenzione, senza sconti, ma anche senza pregiudizi,

come siamo abituati a fare, il cronoprogramma sul piano carceri, che dovrebbe essere definito,

come annunciato dai Ministri Alfano e Matteoli, il prossimo 9 luglio. Speriamo non sia soltanto una

data indicativa.

Con il disegno di legge oggetto del nostro esame, la maggioranza ammette quindi che la soluzione

dell'emergenza carceri non può poggiare solo sul pilastro della costruzione di nuove carceri:

l'ammissione - così la interpretiamo, seppur maldestra - di un errore o di un'inadempienza da parte

del Governo merita comunque di essere apprezzata.

Ci troviamo di fronte ad una condizione di disagio che da una parte espone lo Stato italiano alle

condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione del divieto di trattamento

inumano e degradante, sancito dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo, e che dall'altra non consente di attuare pienamente la funzione rieducativa della

pena, secondo il dettato dell'articolo 27 della nostra Costituzione.

Consapevole dell'inutilità pratica in tempi rapidi dello "strumento edilizio" - così vogliamo

chiamarlo - il Ministro della giustizia, cui spetta la responsabilità politica di quanto accade e di

quanto speriamo non accada nei prossimi mesi nelle carceri italiane, ha tentato quindi di correre ai

ripari, anche con la promozione del disegno di legge che è alla nostra attenzione.

Giova ricordare peraltro che nei mesi scorsi, proprio per superare il sovraffollamento carcerario, il

Premier annunciò, in una conferenza stampa del 16 aprile, l'ipotesi di varare un decreto-legge, che

in gran parte avrebbe ricalcato il testo dell'atto oggi all'esame dell'Assemblea. Noi non

dichiarammo allora la nostra contrarietà, perché rappresentava comunque la presa di coscienza di

una situazione insopportabile che noi stessi avevamo denunciato.

Certo è che a quell'annuncio non solo non sono seguiti i fatti, ma oggi, 5 luglio, in piena estate - e

sappiamo bene, lo abbiamo detto, quale innalzamento delle condizioni di difficoltà ambientale

determini l'estate nei nostri istituti penitenziari - siamo ancora sulla discussione sulle linee generali

di un provvedimento che rischia di non essere legge prima dell'autunno prossimo, a meno di un

ripensamento da parte del Governo e della maggioranza che riporti nelle prossime ore tale

provvedimento in Commissione in sede legislativa per una sua modifica e un suo miglioramento.

Si tratta di un ritardo le cui colpe ricadono per intero sulla maggioranza che, su questo tema, ha

dimostrato spesso di avere poche idee e confuse, se è vero che proprio su tale provvedimento, come

diremo più avanti, si è registrato un vero e proprio scontro tra i ministri interessati, che ha

determinato correttivi, miglioramenti e poi alla fine un reale svuotamento dei contenuti iniziali, con

la complicità della Commissione bilancio, che ha negato le coperture per le esigenze connesse

all'entrata in vigore della legge, e non è questo un caso unico da parte della Commissione bilancio,

che è diventata in parte una vera e propria "tagliola" per i provvedimenti portati all'attenzione del

Parlamento. La musica finora non è cambiata: non sono stati adottati provvedimenti concreti ed è grave il
 
fatto che esseri umani vengano stipati in condizioni indecenti nelle strutture carcerarie. La gravità

aumenta esponenzialmente, se si considera che molte delle strutture penitenziarie del nostro Paese

non possono essere certo chiamate con questo nome, essendo costituite da vecchie costruzioni

fatiscenti. Il numero di suicidi, ad oggi trentadue - e mi riferisco soltanto a quest'anno -, lascia

decisamente esterrefatti.

Risultano poi insopportabili le condizioni di lavoro degli operatori e dei poliziotti penitenziari - ne

facevo cenno prima - sovraccarichi di incombenze, con organici scoperti e fermi a programmazioni

ormai lontane anni luce dalla realtà e spesso dimenticati. Quando si parla di carceri, spesso vengono

troppo sottostimate le grandi ansie e le difficoltà che vivono uomini e donne della Polizia

penitenziaria o anche gli altri operatori delle strutture penitenziarie.

Si tratta di persone che ho visto più volte, quando mi è capitato di visitare le carceri italiane, dal

nord al sud (per esempio Rebibbia, Regina Coeli o il carcere di Cagliari). Ho visto persone molto

motivate nel loro lavoro, ma sottoposte a un grandissimo stress di tutti i generi; ne ho apprezzato

l'umanità, la grande pazienza e l'essere disponibili a svolgere lavori che spesso non sono ricompresi

nelle loro specifiche competenze; li ho visti sempre molto attenti e disponibili alle esigenze dei

detenuti e di chi opera al di fuori anche del carcere, tuttavia li ho trovati sempre pronti a chiedere

aiuto e chiedere un sostegno da parte della politica e di questo Governo, per loro e per chi vive in

carcere, dal momento che anche loro trascorrono gran parte della giornata in carcere e sono padri e

madri, che portano poi a casa lo stress di lavorare in condizioni veramente improbe. Questi sì che

sono lavori realmente usuranti.

Come reagisce il Ministro Alfano di fronte a questa grave emergenza? Corre in Parlamento a

spiegare perché il suo piano carceri sia tanto in ritardo? Sollecita Governo e opposizione a una larga

intesa per difendere l'umanità e la Costituzione?

No, nulla di tutto questo! Si continua ad affrontare con provvedimenti emergenziali la situazione ed

è una situazione che porta una netta contrapposizione tra maggioranza ed opposizione a prescindere

dalla bontà delle soluzioni adottate e dell'interesse generale. Vanno al contrario individuate

strategie di intervento condivise che siano frutto di un confronto anche acceso ma costruttivo e che

non risentano di un atteggiamento pregiudizialmente conflittuale, almeno su questo. Nel merito va

detto che il giudizio sul provvedimento al nostro esame - così com'è arrivato in Assemblea - non

può essere certo positivo ed auspichiamo per questo che torni in Commissione per poter essere

cambiato e riveduto radicalmente per trovare anche un consenso unanime che fino adesso l'Italia

dei Valori ancora non ha voluto dare, affinché questo provvedimento vada realmente nell'interesse

di chi vive ed opera nel carcere e di chi è nelle carceri per scontare la pena.

La proposta viene presentata come una sorta di detenzione domiciliare speciale per le pene ed i

residui di pena fino ad un anno, cui era stata affiancata nel testo originario - come ricorderete - la

messa alla prova come ulteriore elemento di riduzione degli ingressi in carcere.

Di fronte ad un tasso di incarcerazione insostenibile del nostro sistema penitenziario il Governo

dovrebbe innanzitutto individuare gli eccessi punitivi (ve ne sono e lo sappiamo tutti) che

producono carcerazione inutile quanto dannosa, soprattutto in questo contesto.

Regolate le condotte, smaltire il sovraffollamento non assomiglierebbe più al tentativo di svuotare il

mare con un bicchiere: è questo il tema che qualche giorno fa il Ministro della giustizia britannico,

il conservatore Kenneth Clarke, ha posto in occasione del suo primo intervento pubblico in materia;

è questa la direzione intrapresa dall'amministrazione federale e da alcuni degli Stati Uniti

d'America nella direzione di contenere la popolazione detenuta ed i suoi enormi costi per i bilanci

pubblici.

Se la procedura per l'applicazione della misura oggetto del disegno di legge appare più sbrigativa

della detenzione domiciliare ordinaria (che già esiste e che non riesce però a drenare la popolazione

detenuta con pene o residui di pena inferiori a due anni), le preclusioni per il titolo di reato e per

etichettatura soggettiva lasciano immaginare che i margini di successo, anche della nuova misura,

siano molto limitati.

Si tratta quindi di un intervento destinato ad avere un impatto limitatissimo sui drammatici numeri

del sovraffollamento carcerario, in quanto riguarderebbe soltanto quei detenuti che oggi non possono
 
beneficiare della detenzione domiciliare solo perché hanno visto applicarsi in sede di


condanna la recidiva reiterata, escludendo dal suo raggio di operatività tutti quei condannati - anche

a pene detentive brevi - che restano ristretti in regime intramurario per mancanza di domicilio o di

collegamenti con il territorio (pensiamo agli extracomunitari) e di conseguenza inadatti ex lege sia

alla detenzione domiciliare sia all'affidamento in prova.

È ragionevole prevedere che, in assenza di una relazione dettagliata e soprattutto aggiornata

sull'effettiva disponibilità da parte del condannato di un domicilio ove scontare la pena, il

magistrato di sorveglianza sarà costretto a rigettare l'istanza o a differire la decisione disponendo

nuove indagini, con ciò dilatando i tempi del provvedimento e frustrando le finalità dell'istituto che

soprattutto sono legate, come sappiamo, all'urgenza.

Secondo le ultime stime che sono circolate nelle scorse settimane, i beneficiari effettivi di un simile

provvedimento potrebbero essere circa 2 mila persone: siamo molto lontani dai numeri che possano

riportare le nostre carceri in una condizione di legalità.

Abbiamo accolto favorevolmente la proposta di stralcio che ha registrato una sostanziale

condivisione tra i gruppi degli articoli riguardanti l'istituto della messa alla prova al fine di

approfondire in maniera adeguata i delicati profili di questo nuovo istituto. Non poche sono infatti

le criticità da noi ampiamente evidenziate già durante i lavori della Commissione. Legittimamente

individuato il lavoro di pubblica utilità come condizione della messa alla prova che sospende il

processo, se ne estende la previsione alla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio

sociale applicato con pieno successo dal 1975 ad oggi senza una simile contropartita, con l'assai

probabile effetto di renderne assai più difficile la concessione.

In questi termini il lavoro di pubblica utilità risulta meramente punitivo (siccome non ti faccio stare

in galera, ti punisco almeno un po' costringendoti al lavoro per la collettività!).

Nell'ipotesi più verosimile che all'esito dell'entrata a pieno regime del sistema le offerte di impiego

non siano sufficienti ad assorbire la domanda si finirebbe per penalizzare coloro che, per ragioni

indipendenti dalla loro volontà, non riescono ad ottenere alcuna disponibilità sul territorio da enti

pubblici o privati per svolgere l'attività lavorativa richiesta, arrivando così ad ottenere risultati

opposti a quelli che il disegno di legge si propone in termini di inevitabile aumento della

popolazione reclusa. Mettere mano all'istituto dell'affidamento in prova, che sino ad oggi ha dato

buona prova di sé e che rappresenta l'unica vera alternativa alla custodia intramuraria contribuendo

a rendere governabili le carceri, è un'operazione da compiere con estrema cautela e non certo nel

senso di un depotenziamento dell'istituto, ma anzi di un ampliamento della sua portata.

Signor sottosegretario, so che lei sta comunque seguendo queste vicende, anche se in questo

momento è impegnato probabilmente in una "trattativa", credo però abbastanza utile per l'efficacia

del provvedimento; e so che lei è sempre stato attento sin dall'inizio alle possibili implicazioni che

vi possono essere su di esso.

Che fatica oggi andare avanti su questo discorso: sapere come il provvedimento verrà affrontato

dall'Assemblea, e sapere già che vi sono tantissime riserve su di una questione che invece sulla

carta è sostanzialmente condivisa da tutti i gruppi. È difficile oggi accedere al sistema delle misure

alternative: ciò costituisce per la fascia più debole dei detenuti, quella meno dotata in termini di

risorse sociali e relazionali, un percorso veramente difficile. Prevedere infatti un impegno non

retribuito che si aggiunge alle difficoltà che queste persone incontrano a trovare una casa ed un

lavoro, significa rendere la misura inaccessibile alle fasce più fragili degli imputati, ovvero proprio

a coloro che di fatto finiscono in carcere per reati di modesto allarme.

Anche in questo caso la norma pone il problema degli stranieri senza permesso di soggiorno: come

si immagina che costoro possano accedere alla sospensione, non essendo in esecuzione di pena e

non avendo quindi il titolo legittimo di soggiorno sul territorio?

Siamo contrari a rendere ordinaria la clemenza permanente. Anche i presidenti dei tribunali di

sorveglianza si sono espressi in questo senso, dopo aver analizzato il testo in un incontro convocato

alla VI commissione del Consiglio superiore della magistratura; magistrati che avevano definito il

testo originario della manovra lento ed anche rischioso, ritenendo preferibile ripristinare le misure

alternative alla detenzione. La legge, secondo i magistrati, era pericolosa per il suo carattere

automatico. Esso la faceva funzionare di fatto come un indulto, pur non essendo tale: non erano consentiti
 
accertamenti, veniva negato ogni spazio discrezionale al giudizio, e quindi ogni


valutazione sulla possibilità di recidiva.

E cosa sarebbe successo per i delitti di maltrattamenti e di violenza sessuale in famiglia?

L'assegnazione al domicilio coniugale è obbligatoria: non esiste la previsione di un domicilio

diverso da quello della persona offesa, né dal luogo di commissione del reato. Condividiamo quindi

l'inserimento nel testo, questo sì, della previsione di non applicabilità della detenzione domiciliare,

quando non sussista l'idoneità e l'effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela

delle persone offese dal reato; e le vicende di questi giorni, di stalking e di violenza sessuale in

famiglia, riportano drammaticamente la questione all'ordine del giorno.

Se, grazie agli automatismi previsti, un detenuto poteva godere dell'alternativa domiciliare per un

anno anche quando il tribunale di sorveglianza avesse rigettato una o più richieste di misure

alternative, risultava evidente l'effetto di delegittimazione che se ne sarebbe ottenuto. Anche se il

provvedimento introduce la novità di una relazione sulla condotta in carcere, un detenuto potrebbe

comportarsi bene in cella e non a casa; né, d'altro canto, viene precisato il periodo di condotta da

prendere in considerazione.

Inoltre, e soprattutto: questa è una legge lenta, in quanto i tempi reali saranno ben diversi da quelli

auspicati e necessari. È infatti prevedibile la sospensione di alcuni procedimenti anche per dubbi di

costituzionalità, come già avviene per "l'indultino" e per l'espulsione ex articolo 16 del Testo unico

sull'immigrazione.

Vanno opportunamente rilevate anche le gravissime carenze degli uffici, che dovrebbero

affrontare migliaia di casi entro brevissimo tempo, pur soffrendo delle "scoperture" e delle

insufficienze di organici di magistrati, cancellieri, polizia penitenziaria, educatori, assistenti

sociali,che tante volte -e il sottosegretario lo sa - abbiamo denunciato in Aula e in Commissione.

Problema, questo, che,


con il grave contesto dell'attuale allarmante sovraffollamento delle carceri italiane, riveste

primariim portanza: le misure economiche non sono affatto previste, in quanto il Governo esclude

di investire anche un solo euro, come recita l'esplicita clausola di invarianza finanziaria; e senza un


solo euro la riforma carceraria non si compie, e non si potrà applicare bene neanche la legge in


esame.


Il finanziamento del provvedimento, e quindi il potenziamento del personale della Polizia e degli


uffici civili dell'amministrazione penitenziaria, rappresentano condizioni necessarie per consentirne


l'attuazione: come può il Governo pensare di aggravare gli uffici locali dell'esecuzione penale


esterna e del monitoraggio di tutte le incombenze derivanti dalle nuove disposizioni di detenzione


domiciliare, senza prevedere un minimo di intervento di sostegno numerico e professionale? Al


contrario, la Commissione giustizia ha dovuto prendere atto del parere della Commissione bilancio,


che ha definitivamente "killerato" il cosiddetto "svuota carceri", chiedendo la soppressione


dell'articolo con cui si stabiliva l'assunzione di 3.000 unità di agenti delle forze dell'ordine (1.500


poliziotti e 1.500 carabinieri) per il controllo dei detenuti assegnati ai domiciliari.


Non solo: la Commissione bilancio ha chiesto anche di abrogare la deroga alla riduzione del


personale della carriera dirigenziale penitenziaria del Ministero della giustizia.


Ricordo che l'assunzione di nuovi agenti era stata inserita nel testo su richiesta anche della Lega


dopo che il Ministro dell'interno aveva posto un veto sul disegno di legge. È peggio di un indulto,


aveva affermato il Ministro Maroni. Maroni il 5 maggio poi con realismo, in questo convenendo


con quanto noi dell'Unione di Centro e le altre opposizioni affermavano da tempo, poneva il


problema di come riuscire a garantire un sistema di controllo efficace delle persone scarcerate e


assegnate al regime di detenzione domiciliare con un organico di forze di polizia assolutamente


insufficiente, e visto anche il fallimento in Italia dell'esperimento del braccialetto elettronico, anche


questo denunciato in Commissione più volte con atti di sindacato ispettivo.


Alle parole di Maroni sono seguite poi una serie di polemiche e contrasti alla luce del sole, fino alla


soluzione di un'intesa sulle modifiche che hanno portato allo stralcio della messa alla prova, allo


stop dell'automatismo nella concessione dei domiciliari e, appunto, alla previsione dell'incremento


delle forze dell'ordine. Ciò detto, se le condizioni sempre più precarie del Governo non consentono


un cambio di registro nella politica penale, il più tortuoso percorso delle alternative al carcere non


può essere seguito a meno che mostri qualche condizione di efficacia a partire dalla rimozione delle
 
preclusioni soggettive fino al potenziamento delle risorse normative e finanziarie utili a scarcerare



alcune particolari tipologie di detenuti.

Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Altra questione che andrebbe affrontata con urgenza

riguarda quel 50 per cento di detenuti in custodia cautelare ovvero in attesa di una sentenza di

condanna definitiva. Siamo di fronte a un'emergenza di civiltà. La condizione di reclusi nella quale

si trovano tante persone ancora in attesa di giudizio colpisce violentemente chi, da legislatore, si

sforza ogni giorno di richiamare l'attenzione dell'Esecutivo e della maggioranza non sulle mille

questioni settoriali ma sulla riforma del processo, sulla celerità del nostro sistema giudiziario.

Perché se c'è un dato di fondo che emerge chiaro anche dalle nostre visite agli istituti penitenziari

(come quella che molti di noi, su iniziativa della componente radicale, compimmo lo scorso agosto)

è che una giustizia lenta il più delle volte è una giustizia negata. In conclusione, nel ribadire

fermamente la necessità di un intervento organico di riforma che ponga seriamente rimedio alle

disfunzioni della giustizia penale, non può che prendersi atto della parzialità di un disegno che

seppur ispirato a finalità certamente condivisibili quali quelle di rimediare al problema sempre più

urgente e indifferibile del sovraffollamento carcerario, non sembra - così com'è arrivato in

quest'Aula - ancora destinato nella sua formulazione attuale ad incidere in maniera significativa sui

numeri del sistema giudiziario italiano. Una cosa è certa (lo ricordava il quotidiano Avvenire). Se la

politica sulle carceri si riducesse a questo provvedimento, rischia di essere per il carcerato una

specie di congedo che suona come: via di qui, i posti sono limitati e tu ci ingombri. Può suonare

come il disprezzo residuo verso chi conta ormai così poco che chiudere un occhio è toglierselo dagli

occhi. Questo ad uno Stato di diritto, ad uno Stato civile non è consentito. Il grande malato, il

sistema giustizia nel suo complesso, impone il ricorso a tutte le forme possibili che consentano (e

senza inutili spot propagandistici, perché in Parlamento c'è una reale disponibilità veramente

bipartisan) di ottenere una effettiva riduzione, non solo della popolazione carceraria, ma anche e

soprattutto del contenzioso penale. Ma il Governo da questo orecchio purtroppo sembra continuare

a non sentirci.

Noi perciò vogliamo - concludo - non solo auspicare ma anche credere che questo sia l'ultimo

provvedimento che affronti in maniera rocambolesca ed emergenziale questo tema, e che al di là

delle posizioni e dei ruoli di maggioranza e di minoranza si affermi la consapevolezza che questa

non è materia per spot e facili consensi, bensì che abbiamo di fronte il dramma di uomini che come

tali vanno trattati e a cui la politica da troppi anni deve ancora delle risposte (Applausi dei deputati

del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Partito Democratico).

Presidente. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.


Aurelio Salvatore Misiti.

Signor Presidente, signor sottosegretario, già altri oratori hanno messo in

evidenza la parzialità di questo intervento legislativo e soprattutto il legame che esiste tra i

contenuti di questo provvedimento e la riforma stessa della giustizia.

L'ordinamento penitenziario vigente è stato oggetto - e continua ad esserlo - di molteplici interventi

normativi, spesso disorganici, emergenziali, addirittura occasionali, dettati a volte per garantire

esigenze di sicurezza, altre volte per controllare il flusso della popolazione carceraria. Ci si trova

dunque ad avere un sistema poco coerente, in particolar modo nel settore dei trattamenti

extracarcerari. Da tempo la più autorevole dottrina evidenzia la necessità di pervenire ad una

riforma organica in grado di ridare al sistema penitenziario, e più ancora al sistema sanzionatorio,

una coerenza e un'armonia complessiva.

L'originario disegno di legge governativo, n. 3291, dedicato alle disposizioni relative all'esecuzione

presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno e sospensione del procedimento

con messa alla prova, interveniva ancora una volta, soprattutto con l'articolo 1, con misure dettate

dall'esigenza di far fronte all'ennesima emergenza carcere. Con il nuovo testo, che oggi viene

sottoposto all'esame dell'Aula, vi è una maggiore consapevolezza del legislatore della necessità che

il sistema delle misure alternative vada complessivamente ripensato, anche al fine di rendere

effettivo il principio sancito dal terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione per il quale le pene

non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del

condannato. Nella nuova versione, il primo comma dell'articolo 1 del disegno di

legge esordisce precisando che la nuova disciplina si applica fino alla completa attuazione del piano

straordinario penitenziario, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative

alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013; è questo un provvedimento ponte. Si

vuole cioè intervenire con la misura in esame solo in via transitoria, riservando a un intervento

legislativo di più ampio respiro una nuova disciplina relativa alle misure alternative alla detenzione.

Se il carcere rappresenta l'unica risposta che l'ordinamento è in grado di offrire ai problemi

dell'illegalità e della devianza non può sorprendere né l'incremento progressivo della popolazione

detenuta né la constatazione dell'estrema difficoltà, per una parte della popolazione carceraria, di

accesso alle misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario, con l'ulteriore conseguenza

che il sovraffollamento degli istituti detentivi rispetto alla capienza regolamentare, determina

inevitabilmente la sottoposizione ad una vera e propria pena aggiuntiva rispetto alla sola privazione

della libertà personale e ostacola la possibilità di attivare un reale programma di risocializzazione

della pena. Com'è noto l'ordinamento penitenziario già prevede una misura simile a quella prevista

dal disegno di legge in esame: la detenzione domiciliare, disciplinata dall'articolo 47-ter della legge

n. 354 del 26 luglio 1975. Peraltro proprio la detenzione domiciliare è stata, nell'ambito delle

misure alternative alla detenzione, l'istituto su cui negli ultimi anni si sono incentrati i maggiori

interventi di modifica. Originariamente orientato in via esclusiva a evitare la detenzione in carcere

in ipotesi in cui ne sarebbero derivati gravi pregiudizi a beni diversi dalla libertà personale o anche

per soggetti diversi dal condannato, con la legge Simeone - Saraceni se ne sono ampliati i limiti. Ma

soprattutto è stata prevista l'ammissione alla misura alternativa di qualsiasi condannato, per reati

diversi da quello di cui all'articolo 4-bis, che debba scontare una pena residua non superiore ai due

anni anche se costituente parte residua di maggior pena, quando non ricorrano i presupposti per

l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che la detenzione domiciliare sia idonea ad

evitare il pericolo che il condannato commetta nuovi reati. È proprio con quest'ultimo intervento

che la detenzione domiciliare si presenta quale misura ad ampio spettro a disposizione della

magistratura di sorveglianza per sottrarre alla pena detentiva soggetti non pericolosi che possono

essere contenuti attraverso l'imposizione di adeguate prescrizioni.

Presidente. La invito a concludere.

Aurelio Salvatore Misiti. Mi avvio a concludere, signor Presidente. La misura di carattere

eccezionale è ispirata a una logica umanitaria per cui, concludendo, possiamo dire che si tratta

ancora una volta di un intervento che mira a controllare il flusso della popolazione carceraria

proseguendo su un percorso già sperimentato, cioè cercando di rimuovere gli ostacoli che hanno

reso probabilmente meno cospicuo del previsto lo strumento della detenzione generica attraverso

due direzioni. In conclusione, sarebbe auspicabile un ritorno in Commissione per le correzioni

necessarie affinché l'intervento attuale si possa definire, certamente come ponte, ma contenente

ulteriori elementi strutturali che lo rendano sostenibile nell'intero Parlamento.

Presidente. È iscritto a parlare l'onorevole Ciriello. Ne ha facoltà.


Pasquale Ciriello.

Signor Presidente, il provvedimento su cui oggi si avvia la discussione sulle

linee generali, come è noto, è un provvedimento che ha conosciuto, e in parte continua a conoscere,

una gestazione assai difficile. Per un verso, infatti, esso è rimasto singolarmente sospeso tra la

disponibilità - largamente manifestata in Commissione giustizia - ad un suo varo attraverso il

procedimento in sede legislativa, e le condizioni iugulatorie apposte dalla Commissione bilancio,

invero tali da sminuirne largamente la portata sino a depotenziarne inaccettabilmente l'impatto.

Allorché in Commissione si è poi raggiunta una intesa ampiamente condivisa sulle modifiche da

apportare al fine di superare i problemi sollevati dalla Commissione bilancio, il Governo,

contraddicendo l'atteggiamento sino ad allora mantenuto e senza peraltro fornire alcuna

motivazione sul punto, ha negato il proprio assenso al trasferimento in sede legislativa, con ciò mortificando il

lavoro condotto in Commissione e fondato sull'affidamento, poi rivelatosi falso,

dell'assunzione del provvedimento in sede deliberante.

Per altro verso il disegno di legge ha risentito di condizionamenti sia di ordine tecnico (o

paratecnico, se vogliamo), sia di carattere squisitamente politico. Tra i condizionamenti riferibili


alla prima tipologia, mi limito a segnalare la pervicace volontà del Governo di non assumersi la


responsabilità di reperire le risorse finanziarie indispensabili per licenziare un provvedimento


realmente in grado di fronteggiare la drammatica condizione di sovraffollamento in cui versano le


carceri del nostro Paese e di cui l'elevato numero di suicidi di detenuti rappresenta solo una spia,

sia pure evidentemente la più difficile da tollerare in un Paese civile.

Dopo oltre due anni dall'avvio della legislatura e a dispetto delle mirabolanti promesse di

investimenti nell'edilizia penitenziaria e di fantomatici piani carceri, poco o nulla è stato realizzato

di concreto. Si è lasciato, invece, che la situazione incancrenisse fino a superare il livello di guardia.

D'altronde, l'ansia securitaria di cui la Lega Nord si è fatta portatrice - e vengo così al profilo più

propriamente politico - non solo ha impedito che si ponesse mano ad una seria ed efficace politica

di depenalizzazione, ma ha fatto sì che si assumesse una direzione di marcia diametralmente

opposta - per intenderci, una direzione all'insegna del panpenalismo - e sin dall'inizio ha posto

pesanti e ripetute ipoteche sul cammino del provvedimento, nel timore che venisse percepito

dall'opinione pubblica come una sorta di indulto mascherato, valga per tutte il riferimento alle

dichiarazioni del Ministro Maroni che a un certo punto sono sembrate preludere ad un abbandono

definitivo del provvedimento.

Ho voluto ricordare questi dati per meglio chiarire la posizione del Partito Democratico rispetto a

questo disegno di legge. Per noi esso non rappresenta ad alcun titolo una risposta compiuta

all'inaccettabile condizione della popolazione carceraria e rifiutiamo, quindi, da subito ogni

maldestro tentativo di spacciarlo per tale.

Tuttavia, come sempre, abbiamo assunto la linea di un'opposizione responsabile, disponibile a farsi

carico, per la parte che le compete, del compito di dare al Paese le risposte che esso attende. In

quest'ottica, anche un provvedimento che secondo le stime forse ottimistiche del Ministero della

giustizia dovrebbe rivolgersi ad una platea di destinatari dell'ordine di circa duemila detenuti

all'anno, è comunque meglio dell'inerzia assoluta.

Naturalmente, questo non ci impedisce di contestare la scelta del Governo di introdurre una nuova

misura alternativa di detenzione, ulteriormente ingarbugliando un quadro normativo già di per sé

abbastanza complesso piuttosto che modificare la disciplina della detenzione domiciliare già

prevista dalla legge Gozzini, con l'eliminazione di tutta una serie di vincoli che i Governi di

centrodestra vi hanno apposto negli anni a partire dalla cosiddetta legge ex Cirielli (vedi, per

esempio, il caso della recidiva reiterata).

Allo stesso modo, una seria realizzazione dell'ampliamento delle ipotesi di detenzione domiciliare


non si costruisce miracolisticamente attraverso la semplice evocazione dell'istituto. È difficile

porre mano alla questione senza prima fornire soluzione a questi problemi dal momento, infatti, che

essa produce effetti sui carichi di lavoro dei magistrati di sorveglianza ed implica la chiamata in

causa, a diverso titolo, di nuove figure di educatori.

Insomma, o si assume l'indirizzo rigorista e si allestiscono conseguentemente nuovi istituti

penitenziari in grado di ospitare dignitosamente la crescente popolazione carceraria, o si lavora a

serie di misure alternative ispirate, come la Costituzione impone, alla funzione rieducativa della

pena. Quello che non è accettabile è un pastrocchio normativo che non va né nell'una né nell'altra

direzione, ma si pone assai più realisticamente come un semplice "pannicello caldo" destinato,

peraltro, ad essere rapidamente superato dagli eventi.

Potrei andare avanti sottolineando, ancora, le ulteriori manchevolezze del provvedimento come la

necessità di un maggiore coordinamento con alcune scelte legislative di recente assunte anche da

questo stesso Governo, come la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive di cui all'articolo

656 del codice di procedura penale, in particolare al comma 9. Preferisco, tuttavia, avviandomi a

conclusione, accennare rapidamente ad alcuni emendamenti che abbiamo predisposto per l'Aula, i

quali, mettendo a profitto anche le indicazioni scaturite in sede di audizioni, rivisitano

sistematicamente la materia dandole organicità, coordinandola con la normativa vigente e depurandola da

disposizioni meramente propagandistiche patrocinate in modo particolare dalla


Lega Nord. Mi riferisco, ad esempio, alla proposta destinata ad alimentare il meccanismo cosiddetto

della porta girevole, in base a cui - per i condannati in stato di libertà e per alcuni reati - pur in

presenza di una pena da scontare inferiore ad un anno vi sarebbe comunque la necessità di entrare in

carcere per poi, eventualmente, uscirne dopo un mese a seguito della valutazione della loro

posizione da detenuti; ciò, davvero, non si capisce come possa concorrere a deflazionare la

popolazione carceraria.

Chiediamo poi una attenzione specifica per la proposta di introdurre un patto per il reinserimento e

la sicurezza sociale, che consideriamo una risposta ben più efficace e matura ai problemi legati alla

materia su cui verte il disegno di legge.

Ci aspettiamo, da Governo e maggioranza, apertura e disponibilità verso queste proposte,

sicuramente migliorative del provvedimento e, comunque, a questo condizioneremo il nostro

comportamento in sede di voto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Presidente. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.


Rita Bernardini.

Signor Presidente, le cifre dell'illegalità delle carceri italiane sono sotto gli occhi


di tutti, e anche davanti ai nostri colleghi deputati, con tutto il loro carico di sofferenza, tortura e


morte. Sofferenza, tortura e morte non solo dei detenuti, ma di tutta la comunità penitenziaria:


agenti, direttori, educatori, assistenti sociali, psicologi, medici e familiari.

Abbiamo raggiunto - lo ricordava il collega Rao - il massimo della popolazione carceraria: 68.206


detenuti stipati in 44 mila posti, in condizioni di vita disumane e degradanti. Abbiamo raggiunto il


minimo dell'organico di agenti, educatori e psicologi.

Lo scorso anno si sono suicidati ben 72 detenuti - in questo 2010 siamo già a 33 - e, a riprova che

non solo i detenuti trovano nella morte il sollievo alla loro sofferenza, nel mese di maggio ben

quattro agenti di polizia penitenziaria hanno scelto la stessa strada e si sono suicidati.

In tutto, nel 2009, le morti in carcere sono state 175 (quest'anno siamo già a 98). Si tratta di quelle

morti che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) definisce naturali, ma che sono

il frutto dell'incuria e dell'abbandono terapeutico di ogni tipo.

Stefano Cucchi in quale categoria è stato messo? Il suo corpo straziato cosa ha a che fare con una

morte naturale? E gli altri, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Marcello Lonzi,

Niki Aprile Gatti, che cosa hanno a che fare con la morte naturale? Il detenuto del carcere di

Bologna morto oggi, un tossicodipendente giovanissimo, cosa ha a che fare con la morte naturale?

Esagero? Esageriamo noi della delegazione radicale e quanti credono ancora nella Costituzione e

nel rispetto delle regole? E allora sappiate che il presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli,

prendendo atto della drammatica situazione degli istituti di pena compresi nella Corte di appello di

Napoli, ha inviato alle rispettive direzioni, e in primo luogo quindi al carcere di Poggioreale,

l'ordine di disporre quanto necessario per eliminare l'evidente contrasto fra le condizioni di vita

all'interno degli istituti di pena partenopei e le norme vigenti.

Scrive ancora il presidente del tribunale di sorveglianza, Angelica Di Giovanni: "La Corte europea

dei diritti dell'uomo, nella sentenza Sulejmanovic che ha condannato l'Italia, ricorda che l'articolo

3 della Convenzione sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche, cioè quello di

una vita dignitosa in carcere, e proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o i trattamenti

disumani e degradanti a prescindere dal comportamento della persona al riguardo. Essa impone allo

Stato di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il

rispetto della dignità umana e che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano

l'interessato a pericoli o a prove di un'intensità che ecceda il livello di sofferenza inerente alla

detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere dei

prigionieri siano assicurati in modo adeguato". Questo è quanto afferma il tribunale di sorveglianza.

Inoltre, rispetto ai suicidi che prima abbiamo ricordato, volete conoscere il parere del comitato

nazionale di bioetica che ho trovato non su un sito radicale, ma sul sito istituzionale del Governo? Il

comitato nazionale di bioetica ritiene che l'alto tasso dei suicidi della popolazione carceraria, di

gran lunga superiore a quello della popolazione generale, sia un problema di considerevole rilevanza etica e sociale, aggravato delle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli


istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione. La recrudescenza di questo tragico fenomeno, nel

corso del 2009 e nei primi mesi del 2010, rende ancora più urgente richiamare su di esso

l'attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica, anche se l'atto di togliersi la vita - questo

punto viene chiaramente precisato - contiene un'irriducibile componente di responsabilità

individuale. Ma la responsabilità collettiva è chiamata in causa per rimuovere tutte quelle situazioni

legate alla detenzione.

Voi, tutti i gruppi parlamentari di quest'Aula, non volete l'amnistia e l'indulto. Lo avete ribadito più

volte. I partiti si sono pentiti dopo aver varato l'indulto nel 2006, seppure non accompagnato dal

provvedimento di amnistia. Avete votato l'indulto a maggioranza qualificata. Si trattava

sicuramente di una maggioranza schiacciante e lo avete votato dopo esservi spellati le mani di

fronte al Pontefice, Papa Giovanni Paolo II, che chiedeva un atto di clemenza.

Preferite, voi gruppi parlamentari, l'amnistia in atto, ma nascosta all'opinione pubblica, delle 200

mila prescrizioni l'anno frutto dell'immenso debito di giustizia (e cito le parole del Ministro della

giustizia) degli oltre cinque milioni di processi arretrati che non si celebrano.

Questo disegno di legge è il frutto di una politica di unità nazionale che tutti insieme i gruppi

parlamentari hanno perseguito in Commissione. Lo avete svuotato di tutta la sua positiva portata

iniziale per far entrare (questo era lo scopo) almeno un poco di legalità nelle carceri italiane. Unità

nazionale dei partiti e del partito dei magistrati, eppure il disegno di legge originario segnava

un'importante inversione di tendenza rispetto al "più carcere per tutti i diseredati", anziché le

misure alternative che si sono rivelate e si rivelano le uniche efficaci rispetto alla recidiva e al

reinserimento sociale.

Il disegno di legge Alfano cominciava a mettere in atto quanto scritto e approvato nella mozione

sulle carceri che abbiamo approvato a gennaio. Già, dirà qualcuno, ma perché mai rispettare le

mozioni approvate in quest'Aula? L'illegalità sia per tutto, perché è di questo che si tratta: questo è

un Paese che da sessant'anni rifiuta il rispetto delle regole, ma vorrei ricordare a voi e a tutti che,

laddove c'è strage di legalità, prima o poi ci sarà strage di popoli.

Il precipitare degli eventi politici, anche di queste ore, dovrebbe farci riflettere; il precipitare degli

eventi politici di queste ore è il frutto di sessant'anni di politica partitocratica e dell'illegalità e non

fa presagire nulla di buono per tutto il popolo italiano. E, d'altra parte, se la civiltà di un Paese si

misura dalle condizioni delle carceri, possiamo ben dire che abbiamo raggiunto oggi, nel 2010, il

massimo grado di inciviltà con condizioni di detenzione addirittura peggiori di quelle dello

sciagurato periodo fascista (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Presidente. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

Enrico Costa. Signor Presidente, nell'affrontare la discussione su questo provvedimento è

opportuno partire dal testo della Costituzione e, in particolare, dall'articolo 27 che recita: "Le pene

devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al

senso di umanità".

Vorrei andare al di là di quelle che sono le tesi sostenute sul significato del termine "rieducazione",

sul significato di questa norma, ed anche sul significato del verbo "tendere" che (forse con una certa

saggezza e prospettiva futura) i padri costituenti hanno deciso di inserire perché il tendere alla

rieducazione ci fa percepire come vi fossero da parte loro anche un certo dubbio e una certa

insicurezza sull'effettivo raggiungimento dell'obiettivo finale sancito da questa norma.

Però è fondamentale evidenziare come l'obiettivo dei Costituenti fosse quello di fare in modo che le

pene avessero una tendenza e puntassero (forse non necessariamente, ma facessero il possibile) a

realizzare la rieducazione e il reinserimento del condannato. È vero: non è facile conciliare il

carcere e la rieducazione, ma almeno - è questo il punto nevralgico sul quale dobbiamo ragionare -

il carcere non deve favorire un aggravamento delle criticità proprie dei detenuti e non deve creare le

condizioni perché le tendenze a delinquere vengano potenziate e perché le personalità vengano

umiliate. Gli obiettivi manifesti nella Costituzione sono legati alla pena: la dissuasione, la prevenzione, la


difesa sociale e la rieducazione. Alla luce di questi obiettivi il carcere non è né luogo di

segregazione, né di separazione dei detenuti dalla società. Il sovraffollamento carcerario, proprio

alla luce di questo ragionamento fondato su principi costituzionali, è un trattamento inumano e

degradante che deve essere bandito da uno Stato di diritto.

Oggi la popolazione carceraria presenta delle criticità sconosciute in altri tempi. Pensiamo alla

presenza di molti detenuti stranieri per i quali l'inserimento e anche la vita carceraria sono diversi

rispetto ai detenuti italiani. Pensiamo alla presenza di tanti tossicodipendenti che hanno dei

problemi diversi e superiori ancora rispetto alla maggior parte della popolazione carceraria.

Pensiamo all'effetto "porta girevole" che c'è nel nostro panorama giudiziario: molti detenuti che

entrano in carcere vi rimangono tre giorni ed escono e magari sono posti in coabitazione con molti

altri definitivi, che rappresentano soltanto il 32 per cento della popolazione carceraria.

Di fronte ad essere umani che certamente hanno sbagliato, ma che mantengono una propria dignità

e propri diritti, uno Stato di diritto deve porsi il problema del sovraffollamento e impedire che il

carcere diventi luogo di segregazione, umiliazione, disagio, lesione della dignità della persona, ma

soprattutto di produzione di una nuova delinquenza. Anzi, il carcere non può diventare una scuola

di delinquenza.

Mi rivolgo a quelle forze politiche che si oppongono in modo evidente o forse anche un po'

strisciante a questo provvedimento brandendo la clava della sicurezza e dicendo che questo

provvedimento mette a repentaglio la sicurezza del nostro Paese. Penso che questo provvedimento

vada esattamente nella direzione opposta: un carcere che recupera non fa bene ai detenuti, ma alla

società ed alla sua sicurezza. Il problema della sicurezza viene combattuto da questa norma perché

un carcere che recupera, che consente il reinserimento, che fa lavorare, che ha al suo interno delle

scuole che funzionano, consente di avere una maggiore sicurezza perché il detenuto si reinserisce e

non torna a delinquere.

Il sovraffollamento, invece, impedisce il lavoro e la formazione professionale. Non permette di

avviare delle scuole, di rieducare e di recuperare. Nel nostro Paese soltanto il 3 per cento dei

detenuti lavora non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Ciò nonostante ci siano dei

benefici e delle agevolazioni a favore dei privati che intendono svolgere le loro attività all'interno

delle strutture penitenziarie. Uno dei problemi fondamentali è quello caratterizzato dall'edilizia

carceraria, che attualmente non consente di avviare dei lavoratori e di mettere in sicurezza le

strutture, affinché magari gli approvvigionamenti di coloro che intendono svolgere la loro attività

all'interno delle strutture carcerarie vengano effettuati in tutta sicurezza.

Il sovraffollamento è un ulteriore problema perché non consente di concentrarsi su queste attività.

Abbiamo un'edilizia penitenziaria molto risalente nel tempo, per cui è molto difficile ampliare,

adeguare e modernizzare.

Auspichiamo veramente che con il piano carceri avviato dal Governo si possa andare anche in

questa direzione, nonché in quella del recupero e del reinserimento di persone nei confronti delle

quali hanno fallito in tanti: hanno fallito le famiglie, le scuole, gli oratori; ebbene, auspichiamo che

lo Stato non fallisca nella sua azione prevista dalla Costituzione di applicare una pena. Ci

auguriamo, altresì che questo provvedimento sia un tassello nella direzione che ho indicato, un

tassello temporaneo, come è stato specificato, una sorta di ponte verso un momento in cui vi sarà

un'edilizia penitenziaria moderna e soprattutto adeguata alle esigenze del nostro Paese.

È proprio per tale motivo che in Commissione il provvedimento del Governo, che come ha

evidenziato l'onorevole Bernardini era un provvedimento franco, chiaro, diretto a risolvere una

determinata situazione, è stato messo nelle condizioni di essere approvato da un'ampia maggioranza

ed è diventato un provvedimento che tiene conto e realizza il bilanciamento di una serie di opposti

interessi, di opposti valori che sono stati evidenziati da tutte le forze politiche. In questa logica si

pone, prima fra tutte, la scelta di stralciare la messa alla prova, compiuta proprio perché abbiamo

voluto concentrarci sull'esigenza primaria che era quella di combattere il sovraffollamento

carcerario, un obiettivo condiviso da tutti. Inoltre, questo provvedimento parte soprattutto da un

presupposto: la pena viene comunque eseguita. Questo è un elemento fondamentale, che non va mai
 
trascurato e soltanto chi volesse strumentalizzare il reale senso di questo disegno di legge potrebbe


affermare il contrario.

Abbiamo un ordinamento che prevede molte ipotesi di misure alternative alla detenzione e il

provvedimento in questione presenta una serie di limiti oggettivi e soggettivi. Esso determina

un'uscita dal carcere non certo massiccia, come quella che vi sarebbe stata se fosse diventato legge

il disegno di legge del Governo; comporterà dei mancati ingressi, ma attraverso dei filtri molto forti

che sono state apportati attraverso emendamenti formulati dal Governo approvati dalla

Commissione. Mi riferisco al filtro del giudice che dovrà effettuare una valutazione di non ulteriore

commissione dei reati da parte del soggetto, relativa anche al luogo nel quale il soggetto dovrà

eseguire la sua pena domiciliare, ma soprattutto legata alla temporaneità. Parlavo prima di

"provvedimento ponte", di tassello per arrivare ad un momento in cui nel nostro Paese l'edilizia

penitenziaria sarà capiente per svolgere appieno un ruolo adeguato, senza l'umiliazione dei soggetti

detenuti. Dunque, sono stati posti dei paletti che rendono il provvedimento equilibrato.

La Commissione ha certamente ridotto la platea dei destinatari e, forse, come evidenziato

dall'onorevole Bernardini, questo provvedimento non arriverà a raggiungere quell'obiettivo che

l'Esecutivo si era posto all'inizio, però ci consentirà di raccogliere un'ampia maggioranza e di

contemperare una serie di esigenze e di valori che sono emersi da un dibattito serio e franco che si è

svolto in Commissione e che auspichiamo possa ritornare proprio in tale sede.

Dai dati che ci sono stati forniti dal sottosegretario si parlava inizialmente di oltre 10 mila soggetti

interessati, esclusi i casi di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario e i delinquenti

abituali o per tendenza che comunque sono esclusi dalla portata del provvedimento. Teniamo conto

del fatto che una serie di modifiche normative hanno evitato che venissero applicati dei benefici a

tanti soggetti.

Sicuramente, queste modifiche normative hanno garantito la sicurezza nel nostro Paese. D'altra

parte, però, è necessario anche equilibrare e bilanciare la situazione del sovraffollamento delle

carceri.

Penso che, attraverso il disegno di legge in esame, attraverso le modifiche approvate in

Commissione e il senso di responsabilità di tante forze politiche, si potrà arrivare - non penso in

quest'Aula, ma auspico veramente in Commissione, in cui vi era un numero di firme superiore ai

quattro quinti dei componenti per l'approvazione del provvedimento in sede legislativa - ad un testo

maturo ed equilibrato, che consenta veramente al nostro Paese di avere un periodo di ossigeno, per

poi giungere all'attuazione vera e propria del piano carceri (Applausi dei deputati del gruppo

Popolo della Libertà).

Presidente. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee

generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3291-bis-A)

Presidente. Prendo atto che il relatore rinuncia alla replica. Ha facoltà di replicare il rappresentante

del Governo.


Giacomo Caliendo, Sottosegretario di Stato per la giustizia.

Signor Presidente, intervengo solo per

svolgere alcune osservazioni, dal momento che dal dibattito che si è svolto è emerso quanto

avvenuto in Commissione, ossia che vi è stato un accordo generale sulla funzione della pena. Devo

ricordare che questo Governo, appena insediato, tenne conto di un'esigenza di sicurezza dei

cittadini e intervenne con determinate norme, ossia con il decreto-legge sicurezza e con il disegno di

legge sicurezza, che aggravavano la situazione penitenziaria e determinavano sanzioni anche più

rigide.

La pena, però, oltre a quella funzione retributiva, ha anche una funzione di rieducazione e questo

provvedimento, come hanno già ricordato il relatore e l'onorevole Tenaglia, non è un indulto né un

provvedimento di clemenza, ma è un provvedimento di esecuzione della pena.
 
Anche per quelli che continuano ad insistere sui pericoli della detenzione domiciliare, richiamo non


solo la mia esperienza personale di quarant'anni in magistratura - in cui posso ben dire di aver visto

forse due o tre processi per evasione -, ma vi fornisco anche i dati degli ultimi due anni, il 2009 e il

2010: nel 2009 sono stati concessi 25.091 arresti domiciliari. Tenete conto che il reato di evasione si

ha non solo per i condannati definitivi, ma anche per i condannati a pena detentiva durante la

custodia cautelare e che l'abbandono del luogo degli arresti domiciliari è un'evasione. Nel 2009, a

fronte di 25.091 arresti domiciliari, vi sono stati 167 ingressi in carcere per evasione. Ma questi 167

ingressi in carcere per evasione non si riferiscono tutti ai 25.091 arresti domiciliari, ma anche ai

condannati in maniera definitiva: si tratta di dati presi dalla matricola degli istituti penitenziari. In

questo primo periodo del 2010, rispetto a 12.502 arresti domiciliari, vi sono state soltanto 35

evasioni, che riguardano anche i condannati definitivi.

Questa è la realtà: quindi, concedere gli arresti domiciliari per l'ultimo anno, quando cioè viene

meno quella funzione rieducativa, che ormai è già esaurita dal punto di vista della gestione e

dell'organizzazione del carcere, è tale che vi può essere una certezza matematica da parte del

Parlamento, anche sotto il profilo di quella che viene chiamata "sicurezza".

Mi rivolgo all'onorevole Rao e agli altri: il piano carceri è stato varato e la settimana scorsa

l'organismo di vigilanza sul piano carceri ha approvato un piano che prevede la costruzione di 10

mila posti detenuti nei prossimi due anni. Vorrei però ricordare all'onorevole Palomba che, negli

ultimi due anni, ossia in questi due anni di Governo, questo Governo è riuscito a costruire 2.250

posti detenuti, rispetto ai 1.700 realizzati nei dieci anni precedenti.

Nei dieci anni precedenti sono stati realizzati 1.700 posti, in due anni 2.252, che non rientrano

ancora nel piano carceri.

Mi vengono rivolte contestazioni con riferimento alla Polizia penitenziaria, ma - probabilmente a

qualcuno è sfuggito - questo provvedimento consentirà di procedere all'assunzione dei 2000 agenti

di Polizia penitenziaria prevista dalla precedente finanziaria che - come ricorderete - ha disposto

determinati stanziamenti i quali, tuttavia, per un'interpretazione letterale del testo da parte del

Ministero dell'economia e della Commissione bilancio si ritiene che debbano essere utilizzati dal

Ministero della giustizia per tutti i suoi compiti e non solo per la Polizia penitenziaria. Con

l'emendamento approvato in Commissione, il Governo intende dedicare quei finanziamenti

esclusivamente all'assunzione dei 2000 agenti di Polizia penitenziaria che erano stati previsti.

Mi avvio alla conclusione dicendo all'onorevole Tenaglia e ad altri che è stato comunicato dal

Governo - posso già annunciarlo - l'assenso all'assegnazione alla Commissione in sede legislativa.

Per tale ragione sarà poi il Parlamento a valutare questi elementi nella successiva valutazione e

discussione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).



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