Il pianeta carcere sta esplodendo e il governo si limita ad annunciare nuovi padiglioni
Lasciati morire
di Sofia Basso
Suicidi e decessi misteriosi in aumento. Il pianeta carcere sta esplodendo e il governo si limita ad annunciare nuovi padiglioni. Senza soldi e senza personale ne educatori.
La denuncia delle associazioni e del Pd
Il carcere italiano uccide un detenuto ogni due giorni. I numeri del 2010 segnano il record: 57 morti, di cui 18 suicidi, in 104 giorni. Benevento, Sulmona, Santa Maria di Capua Vetere e Roma Rebibbia gli ultimi casi: due suicidi e due decessi per cause da accertare, secondo l'Osservatorio Morire di carcere. Dietro ai morti, il sovraffollamento ormai ingestibile: i detenuti in Italia, scesi sotto i 40mila con l'indulto del 2006, al 31 marzo 2010 erano già a 67.200, 23mila più di quelli previsti: solo 35mila di loro hanno condanne definitive (di cui 10mila per crimini violenti), ben 30mila sono in attesa di giudizio. A questi bisogna aggiungere i 1.821 internati, quelli che, dopo aver scontato la loro punizione, rimangono in carcere con pene accessorie perché ritenuti socialmente pericolosi. Gli stranieri sono ormai 25mila, il 37 cento del totale, con punte del 70 per cento in alcune realtà. Di fronte a celle che si riempiono con un tasso di 800 detenuti al mese, il governo Berlusconi si limita agli annunci. «Sono due anni che Alfano promette nuove carceri ma non è stato fatto nulla - denuncia Sandro Favi, responsabile carceri del Pd -. Del resto, per costruire nuove prigioni servono molti soldi, tanto tempo e, soprattutto, il personale: già oggi mancano gli agenti penitenziari, gli educatori, gli psichiatri. Senza il personale non si può fare alcuna politica penitenziaria».
Per ora il governo si è limitato a concedere poteri straordinari al direttore del Dap, Franco Ionta, facendone il "Bertolaso dell'emergenza carceri", e a stanziare 500 milioni di euro contro il miliardo e mezzo previsto. Il fatto è, sottolinea Favi, che il governo non vuole aggredire quelle leggi che generano carcere: la Bossi-Fini per gli immigrati, la Fini-Giovanardi per i tossicodipendenti e la ex Cirielli per i recidivi. Tutte leggi che continuano a produrre ingressi su ingressi: «Uno straniero che ha violato l'ordine di espulsione perché deve stare in carcere? Per i tossicodipendenti bisogna ristabilire il legame con le comunità terapeutiche». Il Parlamento a gennaio ha votato delle mozioni che a distanza di tre mesi sono ancora lettera morta. Il ddl Alfano, che prevede i domiciliari per i detenuti che devono scontare l'ultimo anno di pena e l'allargamento della messa alla prova nei processi per reati con pena inferiore a tre anni, è stato accolto con soddisfazione dai Radicali ma il Pd frena: «Siamo molto interessati alle misure alternative ma temiamo che in questo contesto di approssimazione si riveli un boomerang. Basta un fallimento e si tornerà a dire che l'unica soluzione sono nuove carceri». Ecco perché il Pd si è allineato a Idv e Lega nell'impedire che la bozza andasse direttamente dalla commissione Giustizia della Camera al Senato: «Continuano a dire che con il ddl usciranno in 10mila. Con le nostre stime, al massimo saranno duemila. Ci facciano vedere i loro dati. Per noi il carcere deve essere limitato ai reati gravi. Bisogna rivedere il Codice penale e ridurre i reati puniti con il carcere».
Sull'irrealizzabilità del piano carceri ritorna anche Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi: «È un'utopia negativa che pretende di inseguire con la costruzione di nuove celle un fenomeno che ha un ritmo di crescita dieci volte più veloce. È un incubo irrealizzabile, perché le carceri si riempiono più rapidamente di quanto ci vuole per costruirne di nuove». Il sovraffollamento, ribadisce, si batte solo «decarcerizzando e depenalizzando: riducendo i reati in generale e quelli che prevedono la detenzione in cella. Come hanno chiesto tutte le commissioni di riforma del Codice, sia di centrodestra che di centrosinistra. Tutte rimaste inattuate». Manconi sostiene che la proposta della messa in prova di Alfano vada corretta ma «presa in serissima considerazione». Perché il sistema sta scoppiando. E non ci sono solo i morti in cella ma anche quelli che l'ex sottosegraterio definisce «tragedie da istituzione totale». Come i casi di Stefano Cucchi e Giuseppe Uva che a buon diritto l'associazione presieduta da Manconi ha contribuito a portare all'attenzione dei media: «Storie che riguardano "luoghi non luoghi" dello Stato, apparati e strutture delegate al controllo che possono risultare altrettanto coercitive e letali quanto una cella. Luoghi del sistema statale che sfuggono al controllo dell'opinione pubblica e delle autorità terze».
nome.cognome @... Verifica la disponibilità sui NUOVI domini