Ai tuoi fedeli, Signore,
la vita non è tolta,
ma trasformata.
(Dal Canone dei defunti).
Potrebbe sembrare una brutta professione quella di dar sepoltura ai morti ma, come tutto, dipende dallo spirito con il quale si fa. Noi di Algordanza (http://www.algordanza.it/) siamo andati addirittura "oltre". Il nostro mestiere è la post-sepoltura: trasformiamo le ceneri di cremazione in diamanti. Molti non sanno che ciò è possibile e rimangono meravigliati quando lo sentono per la prima volta, ma quasi tutti poi ci dicono "è molto bello quello che fate: trasformare il buio in luce". Sì, in effetti è un po' così, o almeno lo è simbolicamente in quanto per molta gente la morte è sinonimo di buio (“buio impenetrabile” se vogliamo utilizzare una vecchia espressione del cardinale Ratzinger) mentre per quasi tutti un diamante è sinonimo di luce.
Con il mestiere che abbiamo scelto di fare, trasformare il buio in luce, è facile imbattersi in situazioni di afflato mistico di fronte al mistero della morte ed al ricordo dei cari defunti. Siamo gratificati di poter dire che nel nostro piccolo aiutiamo le persone a vivere meglio e a metabolizzare l’evento della morte. E non importa che questi siano cattolici praticanti oppure no. Molti fedeli in occasione della morte vedono nel Diamante della Memoria l’essenza ultima della persona cara cui rivolgersi per una preghiera più intensa. Una sorta di esito finale della vita umana che tuttavia non vuole più nascondersi, occultarsi fino a “scomparire” in quei brutti luoghi che sono i cimiteri, né vuole stordirsi in una società dei consumi, civiltà dell’apparenza, che tende a nascondere la morte, a truccarla, per renderla estranea o irriconoscibile. Quante volte abbiamo sentito che il dovere di mentire si è sostituito a quello di avvertire il morente! Proprio per scacciare l’angoscia che si annida in profondità nella nostra anima, si fa morire il nostro caro sempre più frequentemente in un letto d’ospedale e sempre meno a casa propria. Non abbiamo il coraggio di educare ed educarci a capire la morte e quindi si perde anche l’occasione di educare a capire la vita.
In questa prospettiva, non possiamo non far nostre le parole del Cardinal Bagnasco: “oggi è diffusa la consapevolezza dell’urgenza di aiutare i nostri fratelli a pensare in maniera meno evasiva alla prospettiva dell’appuntamento con la morte come di una tappa non estirpabile dall’orizzonte concreto, comunque incombente sulla vita di ciascuno”. Proprio per questo motivo, per rendere meno evasiva la prospettiva dell’appuntamento con la morte, il Diamante della Memoria opera come segno di intelligenza, un modo prezioso per imparare a vivere. Il Diamante come strumento che innesta e avvia una controtendenza a rimuovere l’evento negativo, a scantonarlo, a scongiurare ogni coinvolgimento della persona.
Diceva J. Ratzinger in una riflessione scritta nel 1971, quando era docente di Teologia dogmatica all’Università di Ratisbona, “Esiste un limite oltre il quale la ragione – declinata come scienza, come azione, persino come religione – non basta più a vincere l’angoscia: quello è il momento di una presenza che sappia comunicare com-passione, un esserci al di là dei mezzi materiali spesso limitati su cui possiamo contare”. Si tratta naturalmente di una meditazione ispirata dalla fede e non per tutti riuscirà credibile e convincente. Tuttavia essa contiene un insegnamento importante anche per chi non crede. Dice Ratzinger: "Si dà un’angoscia – quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere cacciata via mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama".
Il fenomeno della rimozione della morte determina la scomparsa della sua esperienza e questo fatto non rende più allegra la vita, ma solo più superficiale. Invece, la memoria del proprio caro va vista come occasione straordinaria per lasciar emergere interrogativi, per addentrarsi nei meandri scomodi del mistero a sperimentare la crisi delle proprie certezze e delle proprie esuberanze, a meditare sulla possibilità di dare un'impronta diversa al resto della propria esistenza, a bonificare l'immagine della vita per imparare a godere realmente della stessa.
Il Diamante della Memoria è una forma di sepoltura che potrebbe rivelarsi educativa per interiorizzare la fragilità connessa alla vita e la capacità di vivere l’appuntamento con “sorella morte”. Il Diamante, dunque, per saper contare i giorni, per apprezzare i doni, per non sprecare né gli uni né gli altri. Il Diamante come un luogo tra i luoghi cari alla famiglia, un luogo dei "dormienti" e, per chi è credente, un luogo di attesa della resurrezione finale. Il Diamante come modo per bandire il macabro, come spazio della vita così concretamente trascendente da non affievolirsi mai, santuario della memoria che ci fa vivamente umani. Il Diamante come un ponte che ci unisce con l’aldilà, che infonde una dimensione diversa alla nostra vita: ce la profuma, ci rinfresca le giornate, ci riempie l’anima e alimenta il desiderio di eternità nascosto nel nostro cuore.
Algordanza Italia
(http://www.algordanza.it/)