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giovedì 14 aprile 2016

Serena Pellegrino (Sinistra Italiana): voto SI al referendum di domenica. La perdita posti di lavoro è un ricatto infondato in un settore ad altissima automazione.


COMUNICATO STAMPA.
14 aprile 2016.

Serena Pellegrino (Sinistra Italiana): voto SI al referendum di domenica. La perdita posti di lavoro è un ricatto infondato in un settore ad altissima automazione.
Il 73 per cento delle piattaforme è da eliminare: le poche unità operative rendono una manciata di euro in royalties allo Stato. L'unica produzione significativa è la ruggine sui tralicci.
http://www.serenapellegrino.it/voto-si-al-referendum-lunica-produzione-significativa-delle-trivelle-la-ruggine-infondato-il-ricatto-occupazionale/

 " Domenica 17 aprile, il popolo italiano è chiamato a decidere la fine di quella che, con un neologismo, possiamo chiamare l'era petrolitica: un balzo evoluzionistico, che acceleri la troppo lenta conversione del sistema energetico e produttivo nazionale alle energie rinnovabili e che ci faccia compiere scelte politiche e legislative coerenti agli impegni presi a Parigi  durante la 21ma Conferenza delle Parti, la COP 21."
Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino (SI) vice presidente in commissione Ambiente alla Camera dei Deputati. E prosegue: " Nessuna argomentazione a favore del no è sostenibile, la serie di disastri ambientali che si susseguono ne è la prova. Se non sono sufficienti le cronache e le previsioni tragiche sul climate change, leggiamole cifre."
" Il più subdolo dei ragionamenti, perché tocca la piaga aperta di un Paese in terribile crisi economica, è quella della contrazione dei posti di lavoro. La parola ai numeri: 1 miliardo di euro investito in fossili genera 500 posti di lavoro, lo stesso miliardo investito in rinnovabili ne genera 17.000.
Annullando gli incentivi alle energie rinnovabili la contrazione dei posti di lavoro è stata significativa. Nel 2012 il numero degli occupati nel settore delle rinnovabili era pari a 37mila, nel 2013 siamo passati a 34mila, 30mila nel 2014 e 26mila nel 2015. Proviamo a togliere i sussidi alle fossili, pari a 14,7 miliardi annui, e operiamo in regime di business as usual utilizzando gli stessi parametri di concorrenza e competitività. Penso che la bilancia penderebbe decisamente a favore delle rinnovabili.
 
Unico problema: la ricchezza generata con le rinnovabili si distribuisce anziché concentrarsi in poche mani."
Pellegrino chiarisce: "Il 73% delle piattaforme entro le 12 miglia dalle coste sono già da eliminare. Sono non operative, non eroganti o erogano così poco da non versare neppure un centesimo di royalties nelle casse pubbliche.
Queste strutture sono vecchie e obsolete hanno esaurito il loro ciclo di produzione e devono essere rimosse prima che il mare e la ruggine provochino cedimenti nella struttura, con il rischio di causare ulteriori disastri ambientali.
Delle 88 strutture entro le 12 miglia, che fanno capo a 31 concessioni di coltivazione degli idrocarburi, 42 hanno più di 30 anni, ovvero sono state costruite prima dell'entrata in vigore della legge n. 349 del 1986 che ha introdotto nel nostro ordinamento la Valutazione di Impatto Ambientale.
 
Inoltre ben 35 non sono di fatto in funzione: 6 risultano "non operative", 28 sono classificate come "non eroganti", mentre un'altra risulta essere di supporto a piattaforme "non eroganti". Dunque, il 40% di queste piattaforme resta inoperante in mezzo al mare.
Ci sono poi altre 29 piattaforme che sono considerate "eroganti" ma da anni hanno una produzione tale da rimanere costantemente sotto la franchigia, cioè sotto la soglia di produzione pattuita 
- pari a 50 mila tonnellate per il petrolio, 80 milioni di metri cubi standard per il gas - questo esenta i petrolieri dal pagamento delle royalties. In sintesi, quasi un terzo delle piattaforme entro le 12 miglia non versa le royalties alle casse pubbliche.
Solo 24 piattaforme operano a regime estraendo idrocarburi al di sopra della franchigia. Tutte impiegano pochissimo personale perché sono prevalentemente automatizzate. E nessuna di queste, anche se con referendum dovessero vincere i SI, cessarebbe l'attività poiché le autorizzazioni hanno durata trentennale e per tutte è previsto che restino efficaci fino alla naturale scadenza."
" Tutto cambierebbe - conclude la parlamentare -
 se le compagnie petrolifere, a fine concessione, ripristinassero a loro spese lo stato di fatto, come prevede la normativa europea, e come vogliamo ottenere con l'abrogazione della  norma oggetto di referendum. Eviteremmo così l'ennesima  l'ennesima infrazione comunitaria ai danni delle casse dello Stato; inoltre si genererebbe uno strepitoso volano occupazionale ,
utilizzando manodopera locale.
Temiamo invece che questa concessione ad libitum sia un ennesimo regalino alle compagnie petrolifere per non obbligarli a riconsegnarci la bellezza dei nostri mari."




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