AFGHANISTAN: E LA RICOSTRUZIONE?
L'INTERVENTO di NINO SERGI,
segretario generale INTERSOS
In merito al dibattito parlamentare sul Decreto Missioni inviamo l'intervento di Nino Sergi, Segretario Generale INTERSOS, per invitare a rimettere al centro i bisogni della popolazione civile afgana.
Roma, 18 febbraio 2009 - Le Ong che operano in Afghanistan hanno ricevuto dal Ministero degli Esteri una comunicazione in cui viene suggerito che tutto il personale non afgano lasci il paese, dato il deterioramento della sicurezza segnalato dall'Ambasciata italiana a Kabul. Le Ong che attualmente collaborano anche con la Cooperazione Italiana sono attualmente Cesvi, Gvc e Intersos. L'area degli interventi è quella di Herat, dove esse hanno accettato di intervenire nel 2007 di fronte alla decisione governativa di garantire una visibile distinzione tra la cooperazione civile e quella militare.
Herat rappresenta solo l'ultima delle sfide delle Ong italiane in Afghanistan. Sono infatti gia intervenute in una ventina di provincie, da Kandahar e Helmand a Kost, Paktya, Nangarhar, Kunar, Laghman, Wardak, Kabul, Baghlan, Balkh, Sar-y-Pul, Faryab e altre. Le attivita sono state molte: distribuzione di cibo, sementi e beni di prima necessita, campi di accoglienza per profughi, assistenza ai più vulnerabili, ricostruzione di scuole, centri ospedalieri e ambulatoriali, reti idriche, pozzi, abitazioni per i rifugiati rimpatriati, iniziative con le donne, centri di formazione artigianale, sviluppo agricolo, sminamento ecc.
Le Ong sono sempre state convinte che non e con la presenza militare (considerata comunque necessaria) che "si vince" in Afghanistan, ma con una strategia che abbia come primo obiettivo la risposta ai bisogni e alle aspettative degli afgani. Questi continuano invece a rimanere delusi. Nove decimi delle risorse sono infatti state impiegate per l'azione militare, peraltro senza risultati significativi, mentre solo un decimo per l'azione di ricostruzione e di sviluppo (eppure si continua a parlare, in modo subdolo, che i 40 mila militari sono in Afghanistan "per ricostruire"). Se poi si aggiunge l'insuccesso di un'amministrazione centrale, corrotta e incapace di rispondere perfino alle necessita primarie, non ci si può meravigliare che il malcontento stia favorendo i Taliban e le altre opposizioni, pur nel ricordo delle sofferenze causate dal periodo talebano.
Pare che non si voglia capirlo: eppure è ormai evidente che se non si cambia radicalmente la strategia finora adottata, non saranno solo i Taliban a cacciare gli stranieri, ma tutto il popolo afgano.
La sicurezza peggiora. Le Ong ne sono consapevoli, dato che continuamente cercano di analizzare e valutare la situazione. Esse hanno anche prodotto alcuni documenti di analisi e proposta, trovando purtroppo limitato ascolto. Arrivano alle Ong invece, senza alcun confronto, approfondimento e valutazione comuni, messaggi a senso unico da parte delle rappresentanze diplomatiche, forse anche finalizzati a togliersi la grana di questa presenza ingombrante come gli operatori umanitari. Si tratta di un atteggiamento che riteniamo irrispettoso e irragionevole, dato che le Ong sono sempre state aperte al dialogo.
Se la situazione in Afghanistan e andata peggiorando, cio non significa automaticamente che non si possa continuare ad operare. Significa invece che devono essere messe a punto misure di sicurezza che meglio rispondano alla modificata situazione. Le Ong hanno sempre valutato i rischi per i propri operatori nei diversi contesti, fino anche a decidere di ritirarsi dal paese, come e successo in Iraq e in Somalia. Per ora non ritengono di doverlo fare in Afghanistan. E' comunque da evidenziare che e il personale afgano a rischiare di più (ben più del personale internazionale) perché vissuto come "agente" di un disegno politico-militare straniero e quindi non indipendente e neutrale.
Ecco il punto: la sicurezza delle Ong e legata alla chiara percezione dell'umanità, neutralità e imparzialità dell'aiuto e alla possibilità, ove attuabile, di interloquire con tutte le parti in conflitto. Negare o limitare queste caratteristiche significa abolire quello scudo di sicurezza che ha garantito e continua a garantire, salvo i casi di pura criminalità, l'azione umanitaria. Purtroppo, in Afghanistan c'e una tendenza a sottovalutarle, considerando piuttosto le Ong umanitarie come funzionali alla strategia militare del "Clear, Hold, Build", arbitrariamente associandole al piano attuativo di tale strategia. Le Ong non possono accettarlo, pena la perdita della loro identità, della loro essenza.
Riteniamo indispensabile, a questo punto, un serio approfondimento. Lo proponiamo al Ministero degli Esteri e allo Stato Maggiore della Difesa. Constatiamo infatti che, su questi temi, si dicono cose diverse a seconda del momento, delle convenienze politiche e delle soggettive sensibilita, mentre non si e mai cercato di approfondire, nel dovuto modo e con tutti gli elementi di valutazione a disposizione, le modalita della presenza italiana, nelle sue diverse componenti, in quei contesti. Il decreto di proroga delle Missioni internazionali e ora al Senato: e l'occasione perché anche questi aspetti entrino nel dibattito parlamentare.
Nino Sergi
Segretario Generale INTERSOS
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