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giovedì 6 dicembre 2007

QUALE POLITICA ECONOMIA PER LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE?

 

 

 

COMUNICATO STAMPA

 

SU MODERATAMENTE.COM

QUALE POLITICA ECONOMIA PER LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE?

 

"I media, lo scorso 4 dicembre, hanno dato grande risalto alla sonora bocciatura della qualità della nostra scuola pubblica da parte dell'OCSE. Si tratta in realtà, purtroppo, solo della "punta dell'iceberg" di un più ampio numero di ritardi strutturali del nostro sistema–Paese che riguardano non solo il sistema delle pubbliche amministrazioni ma anche il settore privato: è il problema che la nostra politica economica nazionale cerca di affrontare da anni con, purtroppo, scarsi risultati". Inizia così "Quale politica economica per la modernizzazione del Paese?", articolo pubblicato oggi su 'Moderatamente.com', rivista online curata da Francesco Sanseverino e diretta da Emanuele Laurenzi.

"Per anni i problemi sono stati la lotta all'inflazione in un contesto di crescita, il deficit delle partite correnti, il deficit pubblico, il problema di oggi è invece la crescita bassa. Come è noto, la crescita all'1,4% dell'Italia delle previsioni economiche autunnali della Commissione europea per l'anno prossimo è la più bassa di eurolandia e tra le più basse della Unione europea. Pertanto, il commissario Almunia ha sollecitato le riforme strutturali ritenendo che la bassa crescita sia più dovuta a cause strutturali che a cause congiunturali. La tesi appare condivisbile proprio alla luce del fatto che la crescita dell'Italia è bassa da anni. A sua volta, il problema della bassa crescita riposa nel basso tasso di crescita della produttività totale dei fattori PTF.

Il nostro sistema produttivo è pertanto in evidente ritardo: ma perché? Le cause sono appunto, strutturali, proviamo in estrema sintesi ad elencare allora i principali ritardi del settore privato. Le nostre aziende sono, in media, di dimensione minore, meno capitalizzate, di dimensione proprietaria familiare, abituate e propense ad un basso livello di concorrenza, con una bassa propensione all'innovazione e una altrettanto bassa quota di spesa in ricerca.

Il problema è l'inadeguatezza qualitativa della offerta e la bassa efficienza della pubblica amministrazione. In altri termini, si parla troppo di quantità (livello del deficit, del debito, della pressione fiscale), ma poco della qualità degli output e quindi della promozione della produttività.

Appare pertanto evidente la necessità di potenziare quelli che, in politica economica, si chiamano interventi a livello microeconomico (garanzia della concorrenza, legislazione antimonopolistica, l'efficienza dinamica del sistema).

Un errore che non bisogna commettere è però pensare che per essere più competitivi è necessario un minore intervento dei pubblici poteri, sic et simpliciter, è invece semmai possibile affermare il contrario: in una economia avanzata che necessita di fortificare il sistema produttivo è semmai essenziale più Stato, o quantomeno uno Stato più efficiente, nel senso che l'intervento dei pubblici poteri, nell'ambito delle politiche intese a promuove l'innovazione, a preservare la concorrenza e soprattutto a garantire servizi pubblici, anche quelli non a domanda individuale, efficienti (si pensi solo all'efficienza della giustizia).

 

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