Le lacrime di un Autore/Clown: Andrea Brusa, scrittore, maestro di Commedia dell'Arte e dell'arte della Clownerie... , regista ed interprete di se stesso e nel contempo osservatore acuto ed implacabile della realtà, sembra ormai guardarsi nel riflesso di uno specchio, poiche' essi non mentono... Ed e' cosi'che vede un vecchio pagliaccio triste esposto all'aria che lo fissa... Ma dov'e' andato l'uomo di un tempo?
"Signore ti supplico anche se peccatore, stammi vicino, non lasciarmi solo e se è Volontà del Tuo Padre Celeste, chiedo il ritorno della mia famiglia, per il Tuo Santo Nome, per il Cuore Immacolato di Maria e il Santo Cuore di Giuseppe, Ti ringrazio, amen". Con questa preghiera ha inizio l'intervista allo scrittore. Ma quante volte il grido stesso dello scrittore è il nostro grido? E' il momento in cui ci sentiamo traditi proprio in ciò che abbiamo sempre considerato di più prezioso ed esclusivo: il nostro amore. Delusi e ingannati da chi dovrebbe essere l'Amore, siamo stati abbandonati a noi stessi! Siamo arrivati al fondo della nostra fede e laggiù sperimentiamo una distanza tanto grande dall'Amore da sembrare ormai incolmabile. E' il momento in cui viviamo l'abbandono insieme a Gesù. L'autore inoltre lamenta il fatto di non essere creduto pur comprendendone razionalmente le cause. Mi piace allargare la riflessione suscitata dallo scrittore con le parole del teologo Joseph Ratzinger, mosso dalla stessa necessità: parlare della fede a coloro che non hanno familiarità «col pensiero e col linguaggio ecclesiale». La storiella narra di un circo viaggiante in Danimarca, colpito da un incendio. Il direttore mandò subito il clown, già abbigliato per la recita, a chiamare aiuto nel villaggio vicino, oltretutto perché c'era pericolo che il fuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi secchi, s'appiccasse anche al villaggio. Il clown corse affannato al villaggio, supplicando gli abitanti ad accorrere al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l'incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere; tendente ad attirare il maggior numero possibile di persone alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clown aveva più voglia di piangere che di ridere e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto di una finzione, d'un trucco, bensì di una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda… La commedia continuò così finché il fuoco s'appiccò realmente al villaggio e ogni aiuto giunse troppo tardi: villaggio e circo finirono entrambi distrutti dalle fiamme. Narro questo apologo a titolo esemplificativo, per delineare la situazione in cui versa l'autore al giorno d'oggi, e nel clown, che non riesce a far si che il suo messaggio sia veramente ascoltato dagli uomini, vede l'immagine del suo stesso essere. Anch'egli, infatti, paludato com'è nei suoi abiti da pagliaccio tramandatigli dal Medioevo o da chissà quale passato, non viene mai preso sul serio. Può dire quello che vuole, ma è come se avesse appiccicata addosso un'etichetta, come se fosse imprigionato nel suo ruolo. Comunque si comporti, qualsiasi tentativo faccia per presentare la serietà del caso, tutti sanno già in partenza che egli è appunto solo un clown. Si sa già di che cosa parli, si sa che offre solo una rappresentazione che ha poco o nulla da spartire con la realtà.
Eppure il grido di aiuto dell'autore e' piu' che sincero, cosi' come il suo immenso amore per sua moglie e sua figlia. "Se solo trovassi qualcuno che mi crede!", conclude sconsolato l'autore. Noi glielo auguriamo di CUORE... e da parte nostra ha tutto il nostro appoggio. Ripensaci CHIARA!
PIER CARLO LAVA
Consulente Editoriale
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