turistico dell'Oltrepò Pavese (http://www.oltrepeat.com):
Vino e Garibaldino
L'Azienda agricola Collina del Sole di Borgo Priolo in
Oltrepò Pavese ha dedicato la Bonarda Doc al trisavolo
Garibaldino del titolare Paolo Caorsi.
Storia del trisavolo di Paolo Caorsi, G.B. Bozzo, detto
Giobatta - bisnonno di sua madre, Grazia Bozzo - che era
appunto uno dei Mille di Garibaldi. Al seguito dell'eroico
condottiero si sciroppò l'intera campagna dell'Italia
Meridionale, nel 1860, prima inquadrato come bersagliere
nella compagnia comandata da Nino Bixio, per poi passare,
dopo il 12 luglio 1860, nelle file dei Carabinieri Genovesi,
un gruppo di tiratori sceltissimi, armati - perlomeno loro -
di ottimi fucili svizzeri calibro 10 a canna rigata, che
risultarono decisivi in diversi frangenti della campagna, in
particolare a Calatafimi. Bozzo si guadagnò sul campo di
battaglia di Milazzo la promozione al grado di caporale, il
22 luglio 1860. Quel giorno i Carabinieri Genovesi,
aumentati nel frattempo al numero di 85, ebbero otto morti e
trentasette feriti. «Sono fiero di discendere da un uomo
così valoroso - racconta Caorsi - e in suo onore ho
battezzato la mia Bonarda, che si può acquistare anche on
line, consultando il sito www.collinadelsole.it. Produco
anche barbera, pinot nero vinificato in rosso e in
barriques. E su prenotazione organizzo degustazioni».
Nonostante viva da molti anni lontano da Genova, Caorsi non
ha interrotto i rapporti con la terra natale e sabato 1°
dicembre ha partecipato alla presentazione del video
"Genova in camicia rossa", presso il Museo del
Risorgimento di via Lomellini. Il suo trisavolo era nato a
Genova il 9 marzo 1841, da Francesco Bozzo e Maria Bagnasco,
dunque era di schiattatipicamente genovese, come denotano i
cognomi dei suoi genitori. Di professione pellaio, si era
unito alla spedizione che Garibaldi, dopo molte incertezze,
aveva infine lanciato alla conquista della Sicilia.
Terminata la gloriosa campagna meridionale che consegnò a
Vittorio Emanuele II di Savoia metà della penisola
Italiana, senza che il suo esercito dovesse sparare un solo
colpo di fucile, anche Bozzo come tanti suoi compagni
d'arme venne smobilitato senza tanti complimenti, ovvero
messo in congedo a Caserta, il 6 dicembre 1860 e rispedito a
casa, a Genova. Poiché però era soggetto all'obbligo
di leva (non aveva ancora compiuti i vent'anni!), dovette
rivestire nuovamente non la gloriosa camicia rossa
garibaldina, naturalmente, ma la divisa dell'esercito
regolare di un'Italia appena venuta al mondo. Iscritto
alla seconda categoria del secondo contingente di leva del
1861, Bozzo venne chiamato sotto le armi il 1° ottobre
1862 e servì l'Esercito italiano fino al 1° ottobre
1864, prima come soldato di seconda classe e quindi col
grado di caporale. Si occupò principalmente di repressione
del brigantaggio proprio in quelle terre che lo avevano
visto battersi per liberare le popolazioni del Sud dal re di
Napoli e dal suo dispotico regime. Richiamato in servizio
secondo la circolare del 28 aprile 1866, G.B.Bozzo venne
definitivamente congedato dall'Esercito italiano l'11
giugno dello stesso anno, a Sant'Arcangelo di Romagna.
Eppure le sue avventure militari non erano ancora terminate.
Nel 1867 rispose infatti all'appello di Garibaldi che
aveva chiamato a raccolta i suoi vecchi miliziani nel
tentativo, fallito all'Aspromonte cinque anni prima, di
riconquistare Roma all'Italia. Bozzo combattè a
Monterotondo e a Mentana, dove si distinse dirigendo il tiro
di due piccoli cannoni, purtroppo tra i pochissimi dei quali
Garibaldi disponeva quell'infausto giorno. I francesi,
armati con i modernissimi fucili a ripetizione Chassepots"
e perfettamente equipaggiati, col rinforzo delle truppe
pontificie ebbero ragione dei coraggiosi garibaldini. Fu una
delle pochissime sconfitte campali patite da Garibaldi, la
battaglia di Mentana. Una ferita che non si rimarginò mai
più, nell'animo del generale. Il caporale Bozzo salvò
la vita e terminò la carriera militare. Rientrato a
Genova, ci visse serenamente fino al 5 novembre 1909, quando
a 68 anni, rese l'anima a Dio. (Da un articolo di Renzo
Parodi pubblicato nel Secolo XIX del 03/12/2007)
Giuseppe Moglia
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