Succede talvolta che bambini con
difficoltà relazionali o in condizioni di disagio psicologico non siano
sottoposti agli opportuni trattamenti, pur disponibili e provatamente
efficaci, perché i genitori "non credono nella psicologia" oppure
"temono che venga cambiata la loro personalità",
oppure ancora "mio
figlio non è anormale!".
Al di là della posizione polemica su ruolo e
funzione della psicologia, che dovrebbe tener conto dell'evoluzione
contemporanea di questa disciplina scientifica, e, parallelamente,
della maggiore "credibilità" che essa deve ancora conquistarsi presso
una fetta di opinione pubblica, quello che preme agli operatori della
salute mentale dei soggetti in età evolutiva è il benessere (mancato)
dei minori sottratti alle legittime cure da parte di esercenti la
potestà genitoriale sicuramente amorevoli, ma altrettanto sicuramente
ignoranti rispetto ai problemi dei figli ed alle possibili soluzioni.
La società civile si deve dunque fare carico della promozione di una
nuova cultura della salute mentale che, da una parte, possa superare la
diffidenza verso discipline e prassi forse ancora non del tutto
"visibili" presso taluni utenti, e dall'altra, permetta di cambiare l'
atteggiamento culturale di fronte al bisogno psicologico del bambino ed
ai sintomi che egli spontaneamente può manifestare (ad esempio:
balbuzie, ansie e paure, condotte auto- ed etero-aggressive, disturbi
alimentari, disturbi dell'apprendimento, per citarne alcuni tra i più
frequenti; oppure malattie psicosomatiche in cui sia preponderante la
componente psichica, quali, ad esempio, alopecia areata, cefalea
muscolo-tensiva, disturbi gastrointestinali, ecc.).
Purtroppo, sussiste
ancora diffidenza verso la sfera psicologica dell'individuo in quanto
permane la correlazione con la "follia", che tuttora suscita timori e
meccanismi di difesa tendenti a negare l'esistenza dei problemi.
Di
conseguenza, mentre nessun buon genitore si sognerebbe di non
sottoporre il figlio alle cure, ad esempio, dell'ortopedico se
presentasse un piedino non perfettamente in ordine, si incontrano
ancora genitori che sottovalutano e negano il disagio psicologico di un
bambino che presenta difficoltà che non solo "non passano da sole", ma
sono destinate a cronicizzare se non adeguatamente trattate.
Il
disagio mentale in età evolutiva
La salute psichica può essere
definita come quella condizione psicofisica che consente al minore di
sviluppare le proprie potenzialità evolutive, ossia di crescere in una
relazione con l'altro sufficientemente buona e in un ambiente idoneo.
Il termine "condizione psicofisica" mette in evidenza che l'individuo è
una unità psico-somatica nella quale mente e corpo sono in collegamento
dinamico e inscindibile: ne consegue che salute fisica e salute mentale
sono strettamente interdipendenti, soprattutto nei primi anni di vita.
E' opportuno ricordare che tutti i bambini fisicamente sani nascono con
gli stessi "talenti" e che lo sviluppo di queste potenzialità dipende
in gran parte dall'ambiente in cui vivranno.
Allo stato attuale,
pertanto, occuparsi di salute mentale dell'età evolutiva significa
farsi carico di rendere l'ambiente di vita del bambino quanto più
possibile idoneo per il suo sviluppo.
Il disagio mentale si configura,
quindi, come condizione di difficoltà e sofferenza per cui lo sviluppo
psicologico dell'individuo viene ostacolato. Questo disagio è
evidenziato dal bambino e dalla bambina attraverso una serie di sintomi
che variano a seconda dell'età e che possono essere a carico sia del
corpo che della mente.
Più il bambino è piccolo più i sintomi avranno
manifestazione somatica mentre, crescendo, i sintomi coinvolgeranno
preferenzialmente la sfera del pensiero.
Molto spesso, però, ciò che il
bambino segnala non viene preso in considerazione, a meno che non si
possa collegare ad una malattia fisica, e tutt'al più viene represso
con una terapia farmacologia.
In questa operazione di negazione del
sintomo psicologico sono talvolta alleati inconsapevolmente molti
adulti, dai pediatra agli educatori ai genitori, come detto all'inizio,
se non hanno una profonda, matura coscienza che la salute è un processo
multifattoriale su tre dimensioni: fisica, psicologica e socio-
relazionale.
Infatti, la percentuale dei minori che, pur avendone
bisogno non arrivano alla cura dei servizi per la salute mentale
(pubblici o privati) è ancora piuttosto elevata, pur essendo la
consultazione psicologica un diritto del bambino del tutto analogo ad
una qualsiasi altra visita medica.
Come contrastare il disagio
psicologico
Il primo passo è la prevenzione e il rilevamento precoce
dei disturbi.
Poiché i bambini segnalano spontaneamente il loro disagio
non è utile effettuare indagini a tappeto (screening) per rilevare il
disagio mentale in età evolutiva.
Tuttavia è importante per una
prevenzione specifica lavorare a livello integrato sugli indicatori di
rischio che possono venir rilevati dai medici di base, pediatri dei
servizi consultoriali, operatori sociali e sanitari della prima
infanzia, insegnanti, genitori.
Per rilevamento precoce s'intende una
valutazione della sintomatologia nell'infanzia e nell'adolescenza che
permetta di riconoscere precocemente i primi segni di disagio mentale,
proponendo le eventuali misure terapeutiche che risolvano il problema o
ne evitino la cronicizzazione.
Infatti, sia che l'intervento sia posto
in essere dai servizi pubblici territoriali che da professionisti
privati, gli obiettivi del trattamento sono:
- impedire che il disturbo
(segnale di disagio) si strutturi e diventi più grave, non essendo i
disturbi psicologici di una certa rilevanza e durata soggetti a
remissione spontanea;
- coadiuvare i genitori nel processo di
comprensione delle cause dei disturbi dei figli e a cercare forme
diverse di rapporto (al di fuori di sensi di colpa sempre in agguato);
- modificare le patologie più strutturate;
- riabilitare competenze
perdute a causa dei disturbi psicologici, ad esempio difficoltà
scolastiche e blocchi nella socializzazione;
- rafforzare l'identità e
l'autostima del minore per evitare il loro coinvolgimento in condotte
disfunzionali.
E' dunque necessario potenziare le iniziative per
rilevare, valutare e prendersi cura precocemente del disagio mentale,
tenendo conto che le indagini epidemiologiche affermano che circa il 15-
20% dei minori presentano disturbi che necessitano di una valutazione,
ma che solo la metà di essi accede ai trattamenti. E' per tale ragione
che vanno prese misure specifiche per cogliere, ognuno nel proprio
ruolo, l'evidenza della sintomatologia presentata dal bambino e per
superare le difficoltà (e le diffidenze) degli adulti nella richiesta
di aiuto.
Sostegno al ruolo genitoriale
E' di primaria importanza
restituire competenza ai genitori aiutandoli a superare la resistenza
ad entrare in contatto con il disagio mentale dei figli e farsene
carico e la diffidenza verso gli operatori psicologico-psichiatrici,
spesso vissuti come giudici del fallimento della loro funzione
genitoriale piuttosto che come luoghi di aiuto.
Dobbiamo riconoscere
che, purtroppo, intorno agli anni '70 una certa corrente di pensiero
tendeva ad attribuire sic et simpliciter alla famiglia, ed in primo
luogo alla madre, la responsabilità di tutti i disturbi dei figli,
fisici, psichici e relazionali. Si ricorderanno le cosiddette "madri
schizofrenogene", autrici determinanti della discesa dei figli verso
gli inferi della schizofrenia.
Ma l'evoluzione scientifica delle
discipline psicologiche e psichiatriche in questi ultimi 30-40 anni ha
portato a modelli interpretativi e valutativi molto più elastici e
realistici: il ruolo dell'ambiente è, evidentemente, importantissimo
nella genesi del benessere o del disagio di un bambino, ma oggi si
intende ricercare e potenziare le caratteristiche della famiglia, e
fornire sostegno nei casi di caratteristiche disfunzionali, anziché
attribuire colpe ulteriormente disgreganti il nucleo familiare.
E'
necessario, pertanto, riuscire ad entrare in comunicazione con i
genitori, aiutandoli ad assumersi le proprie responsabilità genitoriali
sminuendo i timori e i sensi di colpa per eventuali e inevitabili
errori, eventualmente indirizzandoli verso luoghi e professionisti
idonei ad occuparsi del problema.
Ciò può attuarsi attraverso itinerari
educativi con i genitori, in una sorta di psico-educazione che
effettivamente può costituire la strada maestra della prevenzione del
disagio psicologico di bambini ed adolescenti. Essa si configura come
un modo di rendere le famiglie capaci di gestire sempre più
autonomamente i problemi rafforzando le loro abilità strategiche e le
risorse nel rapporto con i figli.
Operando per aumentare le competenze
comunicative ed educative dei genitori si opera direttamente a favore
del benessere dei bambini, a condizione che:
- si superi la logica
degli interventi straordinari, estemporanei, per produrre cambiamenti
stabili e calati nel tessuto sociale;
- ci si integri con gli altri
eventuali progetti di intervento portati avanti dai vari attori
sociali, per superare il rischio della frammentarietà e della
sovrapposizione;
- si progettino i propri interventi in una logica
circolare, in cui i genitori siano coinvolti nella progettazione e non
restino i meri destinatari dell'intervento.
Conclusioni
Dopo molti
anni in cui i genitori sono stati considerati la causa diretta dei
disturbi psicologici dei propri figli ed esclusi da setting e progetti
terapeutici, oggi i genitori vengono considerati una risorsa nel
recupero della salute psichica dei bambini ed integrati nei processi di
riabilitazione/terapia.
Ciò significa che essi stessi sono attori
partecipi e consapevoli dei cambiamenti cui il bambino deve dar luogo
per (ri)stabilire un livello adeguato di benessere e, come tali, mamme
e papà sono ormai chiamati a prender parte, in varie forme, agli
interventi sui disturbi psicologici dei bambini.
Ma per arrivare a
questo punto di forza del trattamento, occorre che, in primo luogo, i
genitori riescano ad entrare in contatto con il disagio psicologico del
figlio senza sentirsi colpevoli, senza nascondere la testa sotto la
sabbia per non sentire il dolore di presunti fallimenti e la vergogna
per ipotetici errori.
Fare il genitore è, vox populi, il mestiere più
difficile del mondo, non sono previste scuole né tirocini, eppure è la
chiave di volta dell'architettura sociale e del benessere individuale.
Facciamo in modo che l'amore che proviamo per i nostri figli non
accechi la nostra lucidità: se ci rendiamo conto di problemi che con il
tempo (una ragionevole, ma limitata, quantità di tempo) non passano,
anzi si aggravano, chiediamo aiuto. Questo non segnerà la nostra
debolezza, bensì la nostra forza di guardare in faccia la realtà senza
timori.
Dott.ssa Marisa Nicolini, psicologa - psicoterapeuta, cell.
328 8727581