VERONA. CASO TOMMASOLI, FATTA GIUSTIZIA ED INFORMAZIONE?
Parliamo dell’omicidio di Nicola Tommasoli elevato agli onori della cronaca come un caso politico. Intorno al caso Tommasoli si è scatenato un polverone mediatico e politico di proporzioni colossali, come se si trattasse di un episodio straordinario e del tutto inusuale.
Omicidio Tommasoli, tutto da rifare. La Suprema Corte accoglie il ricorso del procuratore generale di Venezia e delle parti civili. E così, a quattro anni di distanza dai fatti, torna a processo anche chi era stato assolto. Il Procuratore ha chiesto quindi che venisse annullata la sentenza di secondo grado e che fosse rinviata a Venezia per la celebrazione di un nuovo processo, che venisse rigettato il ricorso della parte civile Comune e che, di conseguenza, venissero rigettati i ricorsi delle difese degli imputati.
"E' vero mio figlio non è un santo e io penso di essere una madre come tutte le altre. Ma mi faccio forte di quello che Federico mi ha detto fin da subito, chiamandomi da Londra: 'Mamma, sappi che noi non c'entriamo'. Io l'ho sempre creduto". A sottolinearlo in una intervista a ''Panorama'', Marta Brunelli, madre di Federico Perini, il giovane condannato in appello a 10 anni per l'omicidio preterintenzionale di Nicola Tommasoli, grafico 28enne che perse la vita dopo una lite nel centro di Verona la notte del primo maggio 2008. Intervista ripresa da Padova News. E' ricordato come l'omicidio della sigaretta: quella che al gruppo sarebbe stata rifiutata da Tommasoli. "Vado fiera di mio figlio e - dice la donna - questo al di là del giudizio degli altri". Un giudizio che spesso era stato feroce: s'era parlato di un branco: "invece quella dannata notte il gruppo s'era incontrato casualmente". S'era parlato di ragazzi insensibili: "Ma mio figlio manda gli sms di solidarietà, adora Harry Potter e oggi fa volontariato in una casa di riposo".
«Per chi come me conosce la pratica giudiziaria e la disinformazione mediatica, è doveroso dare voce a chi voce non ha, specie se certe sentenze appaiono a dir poco contrastanti. – dice il Dr Antonio Giangrande, scrittore e presidente della Associazione Contro Tutte le Mafie (www.controtuttelemafie.it) - Giudici contro. Giudici che nemmeno loro sanno cogliere la verità. Per questo si da spazio ad una posizione quanto meno legittima per dire, almeno in questa sede, come starebbero le cose e come sono state valutate le prove. Sono dichiarazioni di parte ma che in quanto tali meritano almeno una volta di essere ascoltate. Conoscere per giudicare. Questo è il mio motto. Per questo lascio la parola a Marta Brunelli e la inserisco sui miei siti web d’inchiesta letti in tutto il mondo»
«Egr. Dott. Giangrande, mi scuso immediatamente per l’errore. Cercherò di riassumere brevemente i motivi per cui, non solo come madre ma soprattutto come cittadina, sento il diritto ed il dovere di denunciare un comportamento quantomeno sospetto tenuto durante un processo che ha deliberato della vita di cinque ragazzi. Non sarà facile essere breve ma in ogni caso Le assicuro che ogni cosa scritta può essere verificabile nelle carte processuali. Parto subito sostenendo che l’unica cosa che quella sera non è successa è stato quel famoso pestaggio tanto amato dai media per mesi. Prova ne sia che lo stesso consulente di parte civile ne fa testimonianza in aula. Tornando al processo affermo che le dichiarazioni dei due testimoni, e parti offese, risultano contraddittorie e al limite di denuncia per falsa testimonianza. Eppure godono, da parte della corte, di piena credibilità nell’affermare di essere stati massacrati, presi alle spalle, pestati a calci e pugni. I referti medici del pronto soccorso riportano traumi per tre giorni di prognosi! Le dichiarazioni degli imputati, pur collimando, non vengono prese in considerazione. A livello medico inizierò dall’autopsia: I medici legali delle difese prima ancora di iniziare rilevano una anomalia nelle arterie cerebrali risultante da un’angiografia fatta precedentemente, elemento mai reso noto fino a quel momento, e in virtù di questo invitano la dottoressa incaricata dell’autopsia a farsi appoggiare da uno specialista per riuscire a prelevare tutto il tratto arterioso interessato. Consiglio rifiutato! La dottoressa esegue l’autopsia andando a compromettere inesorabilmente proprio il tratto dell’arteria che avrebbe potuto chiarire le cause della morte di Nicola Tommasoli. Immediatamente dopo il funerale, il Pubblico Ministero concede l’autorizzazione alla cremazione del corpo! Durante il processo i vari consulenti della difesa evidenziano le mancanze in sede autoptica e soprattutto lamentano la mancanza dell’unico pezzo di arteria utile a chiarire la presenza o meno di malformazioni; la Corte decide di avvalersi di due illustri consulenti “super partes”. Le loro relazioni parleranno di completa incertezza sulla causa della morte, arrivando a sconfessare la consulente di parte civile circa il nesso di causa. Dopo 14 mesi dal fatto e 4 dall’inizio del processo la consulente civile ritrova un pezzo di arteria!!! Non si tratta naturalmente del pezzo mancante ma vengono fatte nuove analisi, appaiono nuove dichiarazioni circa la presenza di una displasia tipica di un aneurisma, vengono trovate lesioni descritte come punto di rottura spontanea. Alla stesura della relazione il consulente della Corte ritratta e parla di artefatto!!! Nessuna certezza sulla causa della morte, la privazione di arteria e corpo impedisce la possibilità di arrivare a qualsivoglia sicurezza! Secondo la Corte le difese per poter indurre un fondato e ragionevole dubbio, devono dimostrare l’ipotesi alternativa. Ma, scusate, secondo il diritto giuridico, non è l’accusa che deve dimostrare la colpevolezza degli imputati? Magari oltre il “ragionevole dubbio”!? Mi rendo conto, purtroppo, che diritto giuridico e sentenze non vanno molto d’accordo nella giustizia italiana. Queste sono spesso decretate da altri fattori siano essi politici od economici. A volte la Giustizia va a braccetto con il Potere e non con il senso di imparzialità, onestà e rettitudine di cui il termine stesso dovrebbe esserne la sintesi. A questo punto vorrei spiegarLe, in due parole, come io abbia tentato varie volte di esprimere il mio malessere con i media e di come in ogni caso mi sia sempre stata sbattuta la classica porta in faccia. I media non possono ritrattare quello che hanno scritto o detto. E’ un potere codardo! Potrei continuare per molto altro tempo parlandoLe di quanto Verona sia una piccola città di provincia dove le chiacchiere girano veloci come la luce, dove tutti sanno tutto di tutti, dove gli incontri con l’amico o la fidanzata di… avvengono giornalmente al bar o dal salumiere e di quante, ma quante persone sanno la verità ma tacciono per paura o per non immischiarsi. Di come, partendo dalla sensazione che le cose non fossero poi così chiare e la colpevolezza non onestamente dimostrata, io sia stata spinta a cercare conferma di ciò che continuamente “si sentiva in giro”. Indagini che mi hanno portato altrove, a parlare con qualcuno che sa ma che per paura (di chi o di cosa!?) rifiuta anche la sottoscrizione di una testimonianza giurata, figurarsi comparire in tribunale!! Non so se sono stata abbastanza esauriente, spero solo che prima o poi la verità venga fuori. La ringrazio per l’attenzione. Grazie!»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
www.controtuttelemafie.it e www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996
Autorizzati alla pubblicazione. Il contatto è pubblico ed amicale. Se disturbo rispondi “Cancella”.
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