Bilancio del cardinale Bertone dopo la visita nell'isola. "Ho detto sia al presidente, sia alle autorità cubane che lascio nelle mani della conferenza episcopale le istanze da portare avanti nel dialogo bilaterale e nell'impegno comune per lo sviluppo e per il bene del popolo di Cuba, un popolo che Dio ama e che la Chiesa ama".
Brani dell'intervista rilasciata dal cardinale Tarcisio Bertone a L'Osservatore Romano e alla Radio Vaticana e apparsa su L'Osservatore Romano il 1° marzo 2008
Eminenza, Lei è stata la prima personalità esterna a incontrare Raúl Castro, dopo la sua elezione alla presidenza a seguito della rinuncia di Fidel. Quale è la convinzione che si è fatta dal colloquio con il nuovo presidente cubano?
È vero che di fronte all'opinione pubblica mondiale sono apparso come il primo rappresentante del mondo diciamo socio-politico e religioso a incontrare il nuovo presidente del Consiglio di Stato e nuovo presidente della Repubblica dopo la sua elezione.
L'incontro era fissato fin dal mio arrivo a Cuba. Raúl Castro ha ricevuto insieme con me la delegazione della Chiesa cattolica con una folta delegazione governativa. (…)
Il colloquio è stato dapprima aperto a uno scambio di impressioni su Cuba e sulla vitalità della Chiesa cattolica. Poi ho incontrato privatamente il presidente per un faccia a faccia di 55 minuti. Era stata una mia richiesta precisa e il neo presidente ha risposto positivamente. Abbiamo così potuto esaminare insieme problemi sia interni, attinenti la società cubana e i rapporti bilaterali, sia internazionali.
Può riferire qualche dettaglio del suo colloquio con il Presidente Raúl?
Abbiamo affrontato anzitutto la questione della permanenza dei valori nella società cubana. Anche il presidente Raúl è preoccupato della caduta dei valori nella società, soprattutto nel mondo giovanile. Egli deve guidare il Paese verso una nuova tappa della sua storia sociale, politica e religiosa.
La preoccupazione per i valori e per la formazione dei giovani è pertanto una preoccupazione condivisa. Ci si chiede come vincere la disaffezione dei giovani nei confronti dei valori, come ascoltare le istanze e rispondere alle aspirazioni del popolo cubano. Su questo punto abbiamo convenuto che la Chiesa può dare un grande contributo nella formazione dei giovani ai valori. Il governo intende puntare sulla formazione dei giovani ai valori fondamentali attraverso i rinomati centri educativi superiori e universitari di cui Cuba dispone, e la Chiesa può contribuire molto efficacemente a perseguire un tale obiettivo educativo. (…)
Perché parlando di Chiesa in Cuba, lei non ha mai usato l'espressione di Chiesa perseguitata o con libertà vigilata come invece ritengono molti critici del Governo cubano?
Perché la Chiesa in Cuba non è una Chiesa perseguitata. Incontra alcune difficoltà, esempio, come è stato detto, per la costruzione di nuove chiese o per l'insegnamento. Abbiamo parlato con il presidente Raúl anche dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali. È chiaro che questa è una meta che non può essere realizzata adesso.
Non si può fare un paragone tra la Chiesa che è a Cuba e la Chiesa che è in Italia, però la Chiesa in Cuba non è una Chiesa perseguitata nel senso storico delle persecuzioni, anche se le autorità, di fatto, seguono con particolare vigilanza alcuni Pastori della Chiesa. Ciò nonostante, in qualche modo c'è la possibilità di esprimere anche pubblicamente la propria fede.
Non si può ignorare, naturalmente, il problema dei rapporti con i dissidenti politici, ma, tornando alla situazione della Chiesa, c'è stata una certa apertura anche per le manifestazioni pubbliche, come ad esempio per le processioni o le celebrazioni all'aperto. I mezzi di comunicazione hanno dato discreto spazio alla mia visita. In momenti particolari, il cardinale, il vescovo di Santa Clara e il vescovo di Guantánamo hanno parlato anche alla televisione. Per pochi minuti naturalmente, però sono i piccoli passi che dimostrano una concreta apertura.
I ragazzi, i giovani, anche quelli della scuola latino-americana di medicina hanno manifestato pubblicamente la loro identità cattolica, la loro appartenenza alla Chiesa e l'impegno di portare valori cristiani nella società cubana. Nella mia visita nella scuola latino-americana di medicina, l'aula magna era gremita di giovani; alcuni hanno innalzato un cartello "somo de Cristo" e nessuno l'ha fatto rimuovere.
Pur con dei limiti – naturalmente non possiamo fare dei paragoni – dobbiamo accettare i piccoli passi o, come diceva un famoso personaggio, la politica dei piccoli passi, che in questi dieci anni è stata fatta e che continua ancora adesso. Io credo che ci siano prospettive di ulteriore apertura e di ulteriore sviluppo.
©L'Osservatore Romano 1 marzo 2008
FONTE: L'Osservatore Romano
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