Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)
Licenziata perché ha attacchi di “colite” sul lavoro, il giudice la reintegra al suo posto!
La colite,oggi definita più precisamente “sindrome dell’intestino irritabile” o IBS (dall’inglese Irritable Bowel Syndrome) è un disturbo cronico che interessa non solo il colon ma anche altri tratti dell’intestino. Il suo iter diagnostico è quasi sempre lungo e difficile.
Dolore,gonfiore addominale e irregolarità intestinale come stipsi, diarrea o alternanza di entrambe sono i sintomi tipici dell’IBS: una problematica assai diffusa nella popolazione italiana, che interessa soprattutto le donne nelle fasce di età centrali, quelle cioè caratterizzate da un più intenso impegno lavorativo e familiare. Di solito, fattori genetici, ambientali e di stress predispongono a questa sindrome che crea una vera e propria situazione “invalidante” nel soggetto che ne soffre , il quale può fare ricorso solo a diete o a farmaci antispastici e antidepressivi per limitarne i sintomi e condurre una vita quotidiana il più possibile normale.
Un lavoratore subordinato, affetto da tale patologia, può legittimamente essere licenziato dal suo datore di lavoro per incapacità oggettiva di adempiere alle proprie mansioni?
E’ proprio questa, la vicenda giudiziaria che ha visto coinvolta una donna, 45enne, impiegata come segretaria presso una scuola professionale privata della provincia di Foggia, licenziata dopo un anno dalla sua assunzione, in quanto sofferente di attacchi cd. di “colite” che la costringevano spesso ad allontanarsi dalla propria postazione durante l’orario lavorativo per recarsi in bagno.
Il proprio datore di lavoro, nel licenziarla, aveva negato che le condizioni di salute della lavoratrice potessero essere riconducibili alla nozione di «handicap», poichè l’unica incapacità che la donna , a suo dire, presentava consisteva nel non essere in grado di svolgere un lavoro a tempo pieno.
Ma il Tribunale di Foggia - sezione lavoro- al cui vaglio è stata sottoposto la questione della legittimità o meno del licenziamento irrogato, ha dato ragione alla segretaria/lavoratrice, con una recentissima sentenza, con la quale ha negato la validità del provvedimento del datore reintegrando, di fatto, la donna al proprio posto.
Nel suo provvedimento giurisprudenziale , il giudice pugliese ha evidenziato come : “Qualora un infortunio o una malattia conducano il lavoratore a una situazione di invalidità il lavoratore non può essere licenziato per giusta causa, ma deve essere adibito a mansione equivalenti o, in mancanza, inferiori rispetto a quella ricoperta prima del cambiamento della situazione di salute.
Nel caso in cui i lavoratori vengano destinati a mansioni inferiori gli stessi hanno il diritto alla conservazione del trattamento più favorevole corrispondente alle mansioni di provenienza.”
Ed ancora “La nozione di «handicap», prevista dalla direttiva UE n. 78/2000, comprende anche malattie curabili o incurabili che comportino una limitazione di lunga durata alla piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Se la persona può eseguire il lavoro in maniera ridotta, il datore di lavoro deve ridurne l’orario, se non ne derivano oneri eccessivi”.
Sulla delicata questione giuridica interviene anche il noto legale foggiano, avv. Eugenio Gargiulo, il quale , nel condividere la sentenza del Tribunale sezione lavoro, precisa che la sopraggiunta inabilità non rappresenta causa di giusto licenziamento, sempre che sussista la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o inferiori.
Il datore di lavoro presso il quale è avviato un invalido per l’assunzione, ai sensi della legge n. 482/1968, pur non essendo obbligato a riorganizzare i mezzi di produzione per consentire tale assunzione, è tuttavia tenuto a ricercare all’interno dell’azienda mansioni compatibili con le condizioni sanitarie del lavoratore. A questo fine deve, se necessario, procedere a redistribuire gli incarichi tra i lavoratori già in servizio. Ne consegue che occorre accertare se vi siano in azienda mansioni «concretamente disponibili» per le quali il lavoratore avviato sia idoneo, e solo se tale concreta disponibilità sia impossibile l’azienda può rifiutare l’assunzione.
( in tal senso Cass. civ. 13 novembre 2009 n. 24091)
Nel caso di licenziamento di un invalido per mancanza di posti compatibili con la sua menomazione – conclude l’avv. Eugenio Gargiulo - l'onere probatorio gravante sul datore di lavoro riguarda l'impossibilità di utilizzare il prestatore di lavoro licenziato in altre mansioni compatibili con la qualificarivestita.(vedasiCass. civ., sez. lav., 29 marzo 1999, n. 3030; Cass. civ., sez. lav., 5 settembre 1997, n. 8555.)
Foggia 28 febbraio 2017 avv. Eugenio Gargiulo
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