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Assemblea Spirituale Nazionale dei Bahá'í d'Italia
NOTIZIE PER LA STAMPA
9 LUGLIO 1850: IL MARTIRIO DEL BÁB
"Il mondo è in confusione, la chiave di tutti i suoi problemi si trova
nelle mani del Prigioniero di Akká". Così affermava, alla fine
dell'Ottocento, in una lettera inviata ai mussulmani del Caucaso, lo
scrittore russo Leone Tolstoj (1828-1910). Da allora la situazione è
di poco cambiata: sia sullo scacchiere mediorientale - cui si
rivolgeva l'autore di "Guerra e pace" - e sia in tutto l'occidente.
Insomma, ancora adesso, il mondo è in gran scompiglio e disordine
generalizzato, alla ricerca di una nuova identità sociale, che tarda -
per la verità - ad affermarsi.
Ma a chi si riferiva Leone Tolstoj con l'espressione Prigioniero di
Akká? La storia dimostra che il suo pensiero era rivolto a
Bahá'u'lláh, che in quel tempo era stato imprigionato (per motivi
religiosi, dal governo turco ottomano) ad Akká e che aveva rivelato a
Bagdad, nella seconda metà dell'Ottocento, la Fede Bahá'í: una
religione che - stando allo stesso Tolstoj - aveva un grande avvenire
davanti a sé perché - come affermava testualmente - essa si presentava
"come la forma più pura e più elevata del sentimento religioso (...) ".
Tutto questo a partire dalla Rivelazione del Báb (ovverosia di Colui
che è indicato come il Precursore di Bahá'u'lláh, leggasi pure il
Prigioniero di Akká) il Quale rivelò la Sua Missione profetica, a
Shiráz, in Iran, il 23 maggio del 1844 e che immolò la Sua vita nella
piazza d'armi di Tabríz, località anche questa situata nella lontana
Persia. L'esecuzione, per motivi ingiusti e iniqui, avvenne in maniera
spietata esattamente 157 anni fa: il 9 luglio del 1850. Egli fu appeso
con una corda fissata al chiodo d'una parete e fucilato da un plotone
d'esecuzione composto da 750 soldati. La Sua uccisione concluse di
fatto (sostiene, sul piano storico, Shoghi Effendi) "il tumultuoso e
tragico ministero di Uno la Cui era inaugurò la consumazione di tutte
le ere e la Cui Rivelazione adempì le promesse di tutte le Rivelazioni".
Ad occuparsi della Sua vita, come anche di quella di Bahá'u'lláh,
furono (tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento)
orientalisti, storici, poeti, scrittori, statisti e uomini di pace
come Gandhi, Rabindranath Tagore, Ernest Renan, Arnold J. Toynbee,
Sarvepalli Radhakrishnan, Auguste Forel, Guillaume Apollinaire e
l'italiano Michele Lessona. Ognuno per la sua parte, ciascuno di
questi intellettuali, concordò sull'ipotesi che il Prigioniero di Akká
aveva di fatto messo in moto durante la sua esistenza terrena
(1817-1892) - con il suo Messaggio religioso divinamente rivelato -
una Causa collettiva che - nelle parole dello statista Edvard Benes -
si presenta come una delle più grandi forze morali e sociali del
mondo, in grado di spianare la via a un'organizzazione universale
della pace.
Rino Cardone
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