La partecipazione, l'amore dello spettatore sono totali: tutto alla fine si risolve, o sembra risolversi, spazzando via tutto il dolore precedente, delle scelte e dei rimpianti, con un sorriso agrodolce. È la storia di ciascuno di noi, condensata in un'immagine efficace: da una parte l'incertezza, la trepidazione del seminatore che affida alla terra il seme (sarà buona la stagione? Spunterà il frumento?) dall'altra la gioia della raccolta della mèsse sospirata.
"Non ricordo chi diceva che per fare Teatro c'e' bisogno almeno di uno spettatore. Non mentiamo a noi stessi, possiamo anche fare cose fine a loro stesse e personali, ma senza una condvisione non si puo' dire siano complete. Tu esci, vomiti, ti esprimi, lanci il tuo messaggio a chiunque possa, e voglia, farne qualcosa e ti senti soddisfatto. Punto. Credo non ci sia niente di piu' bello, ma allora come puo' essere difendibile chi che cerca la bellezza interiore in un negozio di cosmetici. Qui cogli un aspetto molto particolare. Un conto è scrivere una musica: non esiste che tu la scriva se non per te stesso, fine. Un altro è cantare senza la recitazione, mera esecuzione: esiste il pubblico sicuramente, ma al massimo serve per guardarsi dentro meglio, scandagliare meglio il percorso emotivo/tecnico/pulsionale. Un altro ancora è il recitare dove spesso, effettivamente, la narrazione di una vicenda è PER un pubblico, tu non sei che un meccasnismo di questa narrazione. In questo posso sentirmi burattino, geisha d'alto borgo, escort, prostituta. Si; e allora, anche se fosse? Faccio ciò che voglio, accettandone le conseguenze in questi casi (di solito di insoddisfazione a sipario chiuso). Se notate nel mio scritto ho parlato di scrivere musica e "cantare" tutte azioni che SPESSO partono da esigenza interiore; quando scrivevo LE STAGIONI DELL'AMORE e MON COEUR non pensavo certo a quando mi sarebbe capitato di interpretarli. Tu esci, vomiti, ti esprimi, lanci il tuo messaggio a chiunque possa, e voglia, farne qualcosa e ti senti soddisfatto. No. Altrimenti sarebbe una rincorsa sul pubblico e un accartocciarsi su se stessi. Non è bulimia il vomitare, è esigenza. Se non lo senti, esci, lavori di mestiere, ti inebri degli applausi e sai già, mentre te li fanno, che in tutto questo non c'è niente di bello, perché niente è stato veramente vero. Sensazioni che, intendiamoci, non sono universali. Sono le MIE! Non voglio pretendere di estendere il mio particolare. In breve, quindi, non sono mai contento? Più o meno l'idea è quella. Quindi perché lo si fa?! Cioè mi volete chiedere perché A VOLTE sento l'esigenza di RESPIRARE? Perche' sono sempre qua a scrivere di lei, di mia moglie e di noi con il cuore aperto e palpitante ad un ritmo più accelerato del solito volendo dirle che non ho più bisogno né del cielo, né tantomeno delle stelle se c'e' lei accanto a me. Tutto ha riacquistato colore; ora quando vado in giro sorrido, di nuovo, ed è grazie a lei. Per questo scrivo... per dirle che e' tremendamente meravigliosa con quegli occhi chiusi dalla luce del sole, con gli zigomi all'insú e quella lieve smorfia di fastidio. Dirle che mi accorgo di quanto sia stanca, o triste, o annoiata, e mi accorgo anche di quanto sia sollevante essere, ancora una volta, la soluzione a quasi tutti i suoi problemi. Scrivo per dirle che dopo tutto questo tempo non smetto di guardarla con gli stessi occhi che mi hanno inginocchiato tempo fa, gli stessi occhi inginocchiati tutt'ora, ai suoi".
Wow, che bella conferenza!!!
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