domenica 12 giugno 2016

Ritratto d'autore: una serata di letture a cura di Andrea Brusa

Scrittori e poeti si sono da sempre interessati al circo, intere indimenticabili pagine di letteratura e cinematografia hanno cercato di descrivere le vite dedicate a questa particolare ed antichissima attività, alle vite interamente vocate a forme d'arte fra le più complesse ed affascinanti, quasi sempre rivolte soprattutto alla capacità di sorprendersi e di magnificarsi dei più piccoli. E l'autore Andrea Brusa, da buon ex artista circense, e' in un certo senso un vero e proprio funambolo della parola.

Come lui stesso riferisce citando a memoria un testo di Maxence Fermine: "In verità, il poeta, il vero poeta, possiede l'arte del funambolo. Scrivere è avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza, il filo di una poesia, di un'opera, di una storia adagiata su carta da seta. Scrivere è avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina, sul cammino del libro. Il difficile non è elevarsi al suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio, aiutato dal bilanciere della penna. Il difficile, per il poeta, è rimanere costantemente sul quel filo che è la scrittura, vivere ogni ora della vita all'altezza del proprio sogno, non scendere mai, neppure qualche istante, dalla corda dell'immaginazione. (...) L'amore è l'arte più difficile. E scrivere, danzare, comporre, dipingere, sono la stessa cosa che amare. Funambolismi. La cosa più difficile è avanzare senza cadere".

E l'autore sembra proprio crederci. Letture che ti rapiscono dalla prima all'ultima parola quelle tratte dai suoi due ultimi libri INVALIDO D'AMORE e LA VIA DEI MIRACOLI. Ed in piu' lo stesso autore continua a sconvolgere e stupire per le sue clamorose rivelazioni che coprono ogni cosa di una luce nuova. Una vita difficile la sua dove pero' le continue emozioni che sa regalare ipnotizzano e ti legano alle sue opere impedendoti di staccartene.

Alla domanda "Come vede il suo futuro?" egli risponde : "Non amo espormi alla luce, forse perché privo di ombra, forse perché ho vergogna di mescolarmi agli altri, i cosiddetti normali. Sono infagottato di stracci, carichi di sacchetti al cui interno c'è tutta la mia ricchezza, quello che racimolo in giro come scarti di cibo, stracci, scarti inutilizzati dalla società e cartoni per ripararmi. Una vita priva di qualsiasi cosa, materiale o affettiva, non ho nessun punto di riferimento se non una panchina o un portico per passare la notte. Sono una persona caduta in disgrazia, sono uno scossone al vostro intorpidito senso di giustizia. Sono costretto ad umiliarmi per chiedere un pezzo di pane oppure qualche spicciolo, poiché il destino ha voluto prendersi gioco di me, volontariamente o meno. A mia difesa, spesso basterebbe poco per restituirmi dignità, un senso per vivere: ridarmi la mia famiglia. Passo le giornate pensando e scrivendo solo a mia moglie e mia figlia e vivendo per loro".

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