lunedì 26 gennaio 2015

FERMARE L'ODIO CHE CONDUCE AL TERRORE




Sima Mobini - 14 gennaio 2015

In seguito agli attacchi terroristici francesi, ho trascorso un po di tempo a riflettere su quanta attenzione i mezzi di informazione hanno prestato  alla "libertà di parola" e ai "pericoli dell’estremismo religioso."

Sebbene entrambi questi importanti aspetti di questa triste storia mi colpiscano come degni di profonda discussione, mi piacerebbe valutare questa tragedia da un’angolazione correlata, seppur diversa: che cosa ha fatto sì che individui, che erano cittadini francesi, cresciuti in questo paese, che, in base a recenti notizie, avevano amici, suonavano e cantavano fino a pochi anni fa, diventassero terroristi estremisti?         Quando questo accade, quali sono le responsabilità delle varie fazioni della società - che vanno dai governi, agli educatori, alle comunità e ai leader religiosi e agli individui – nel risolvere questo problema mondiale, in costante espansione,  del terrore fondamentalista? Come possiamo fermare le cause del terrorismo, piuttosto che lamentarci dei risultati dopo che sono già diventate realtà?

Naturalmente non conosceremo mai veramente le risposte a queste importanti domande dal punto di vista delle persone coinvolte -  non possono più dircelo. Ma possiamo speculare un po', e arrivare a delle conclusioni generali.  Come persona nata in Iran e trapiantata negli Stati Uniti in età giovanile, ho alcune considerazioni sulle risposte a queste domande.

Myrha Street è parte del quartiere di immigrati arabo / africani di Parigi 
ed il venerdì è barricato per permettere ai musulmani di pregare in strada.
Nel caso dei tre cittadini francesi che hanno commesso questi atroci attacchi terroristici, sappiamo che vivevano in una comunità di minoranza, in Francia, in un "ghetto arabo", come alcuni lo descrivono. Le persone in queste aree riferiscono di sentirsi trascurati, ignorati, discriminati e non accettati dalla società tradizionale. Molti ricercatori hanno concluso che questi problemi, abbinati ad una comunità musulmana non completamente assimilata nella società francese, sono diventati in Francia problemi seri, che contribuiscono alla violenza e al terrore che ora affliggono la nazione.

Questi tre terroristi, provenienti da ambienti emarginati e socialmente non accettati, probabilmente hanno avuto scarse opportunità di istruzione. Mentre sono cresciuti, uno o più di loro ha accumulato precedenti penali e trascorso del tempo in prigione. Lì, almeno uno ha incontrato criminali violenti più anziani e più agguerriti che avrebbero potuto indottrinarlo e addestrarlo  in un violento circolo di terrore  "islamico" - che non ha nulla a che fare con la reale pratica della religione islamica.

Proprio come in molte altre società, questi giovani possono aver sviluppato rabbia e odio contro una comunità che sentivano li trattasse come cittadini di seconda classe. E mentre apparentemente, fino a pochi anni fa, non avevano convinzioni politiche o "religiose", il loro estremismo radicale ovviamente ha fornito loro uno sbocco per il loro odio e la oro rabbia, ha dato loro sentimenti di autostima e importanza esagerata, ha sfruttato la loro mancanza di istruzione e li ha addestrati per una violenta vendetta suicida.

Questo non è un fenomeno nuovo nella storia umana. Bande criminali omicide si sono formate in molte società per gli stessi motivi, tra i gruppi che hanno sofferto di discriminazioni, che non sono stati accettati come uguali, che non si sono integrati, e non sono stati ben-educati. Finché le società non accettano pienamente, assimilano e costruiscono un’unità con le loro popolazioni minoritarie, continueremo a soffrire per questo problema.

Come possono i governi, i leader e gli educatori delle comunità e delle religioni, in luoghi in cui persone di diversa provenienza vivono, risolvere questi gravi problemi e creare una società unificata? Semplicemente, i residenti di paesi con popolazioni diverse, indipendentemente dal fatto che facciano parte della grande maggioranza o di una minoranza, farebbero bene a partecipare a un vasto programma a livello nazionale di formazione sulla diversità. Abbiamo tutti bisogno di conoscere e apprezzare la bellezza delle varie culture. La Fede Bahá'í insegna che l'unità nella diversità è possibile, se siamo in grado di incontrarci come eguali in  modo rispettoso e amorevole. Il mondo dell'umanità, secondo gli scritti bahá'í, assomiglia a un giardino pieno di fiori di diversi colori e profumi. Non sarebbe meraviglioso se li potessimo apprezzare tutti? Non sarebbe straordinario se persone di culture diverse si sentissero a proprio agio nell’associarsi ad altre culture, così come nella propria?

Offro la comunità mondiale bahá’í come esempio, una comunità che abbraccia individui provenienti da tutte le etnie, razze, nazioni o background religioso che si possano immaginare. Mettetele tutte assieme in un unico luogo e vedrete i fiori di un giardino, vedrete i membri di una famiglia umana che si associano tra loro nella massima armonia.

Infine, quali responsabilità hanno gli individui - o meglio ancora le comunità minoritarie che sono trattate come cittadini di seconda classe - in tutto questo? Dovrebbero favorire sentimenti di rabbia, odio e di vendetta nei membri di queste comunità emarginate? Questo tipo di rabbia, o le azioni che ne derivano, hanno forse risolto molti problemi nel corso della storia?

Possiamo imparare molto dall'esempio dei bahá’í dell'Iran - perseguitati; giustiziati; imprigionati; discriminati; considerati come cittadini di seconda classe; licenziati dai loro posti di lavoro; i loro siti sacri devastati dai bulldozer, espropriati e distrutti; privati di un’istruzione superiore; e spogliati dei loro diritti umani fondamentali negli ultimi 36 anni. Come hanno reagito a tutte queste costanti atrocità contro i diritti umani?

Coloro cui è stata data la scelta di abiurare la propria fede o essere giustiziati  hanno perso la vita. Coloro che sono stati imprigionati con accuse false  e inventate hanno formato legami di amicizia e di intesa con altri prigionieri di coscienza, e  lavorano come promotori e mediatori di pace tra i diversi gruppi di carcere. Insegnanti e professori licenziati dai loro posti di lavoro hanno creato un'università virtuale per migliaia di giovani Bahá’í, che sono stati privati del diritto ad un’ istruzione superiore a causa della persecuzione del governo.

Di fronte a tutte le accuse false e ingiuste, i bahá’í non hanno mai diffuso l'odio o la violenza contro alcun singolo o gruppo in Iran. Nonostante il trattamento brutale che hanno sofferto, hanno concluso che l'odio si ferma con loro. Naturalmente, a causa della massima importanza della giustizia per gli insegnamenti bahá'í, hanno sistematicamente e regolarmente presentato il loro caso alle organizzazioni internazionali per i diritti umani, e hanno portato le ingiustizie all'attenzione del mondo.

Nel complesso, i bahá’í dell'Iran continuano a servire i loro concittadini e a lavorare per il miglioramento del loro amato paese. Io chiamo questo metodo di trattare con l'oppressione “resistenza costruttiva o pacifica”.  Voglio sperare che più  leader di pensiero studino il caso della Comunità Bahá’í dell'Iran come un esempio di successo di “resistenza costruttiva” – e che  sempre più persone in tutto il mondo si rendano conto che l'unico modo per uscire da questa miserabile spirale di odio e di vendetta sia l’educazione alla pace!

I pareri e le opinioni espresse in questo articolo sono unicamente quelle  dell'autore e non riflettono necessariamente il parere di www.BahaiTeachings.org o qualsiasi istituzione della Fede Bahá'i. 

Per leggere l'articolo in inglese:
Traduzione di Maria G.