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Massimo Vaggi Sarajevo novantadue
Un popolo inconsapevole, una guerra che comincia
Aprile 1992, città di Sarajevo. Milo ha sedici anni, gioca a pallone, va a scuola e fa la corte a Lana. Suo padre è giornalista, l'allenatore Ibrahim sogna per lui un futuro in una squadra importante e il professore Simo Zivanovic, storico appassionato, tra una lezione e l'altra scrive di Jovan il contadino, rapito nel 1531 dalle milizie di Alibeg per lavorare alla costruzione della moschea del Bey. Ma Sarajevo è città sull'orlo di un baratro, nonostante nessuno se ne renda conto. L'assedio inizia, e scardina da subito le regole di ogni spazio. Granate, esplosioni, niente più scuola e pallone; case dalle imposte chiuse dietro cui nascondersi, vie con lamiere rabberciate tese tra i lampioni, fragile barriera che vuole proteggere i passanti dalla vista dei cecchini, non certo dai loro spari. Milo potrebbe fuggire, con l'aiuto di un sergente del contingente Onu, ma non sa decidersi: cerca il consiglio del professore, ma Simo Zivanovic non è più in grado di immaginare un destino qualunque nemmeno per Jovan, personaggio di carta. In Sarajevo novantadue Massimo Vaggi fotografa l'immobilità di un assedio che imprigiona il futuro di un'intera incredula popolazione, e dimentico di come quello sia il luogo dove uomini diversi per cultura e religione hanno imparato nei secoli cosa significhi vivere in pace, frantuma ogni criterio del vivere conosciuto.
Massimo Vaggi è nato a Domodossola nel 1957 e vive a Bologna, dove esercita la professione di avvocato. Ha pubblicato: Un silenzio perfetto (Pendragon, 1996), Tu, musica divina (Interlinea, 1999), Delle onde e dell'aria (Mobydick, 2002), Al mare lontano (Pendragon, 2005). Suoi racconti compaiono nelle collettanee Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo (Alegre, 2011) e Lavoro vivo (Alegre, 2012). |
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