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Dopo i tanti interventi effettuati in tema di compensazioni tributarie,
è venuto il momento di fare il punto della situazione - sopratutto, ora,
in conseguenza del caos normativo di questa estate -sulle
penalità per eventuali irregolarità commesse nell'utilizzare
questo strumento. </p>
<p>Una trattazione più approfondita sarà oggetto del<a
href="http://www.unoformat.it/unoformat-home/guida-al-fisco/"> percorso
formativo accreditato per DCEC e CDL</a> "Guida al Fisco", ma
cerchiamo ora di inquadrare meglio l'argomento.</p>
<p> Con il D.L. 185/2008 è stato stabilito che l'utilizzo in
compensazione di crediti inesistenti risulta punito con la sanzione dal
100 al 200 per cento della misura dei crediti stessi, penalità poi
elevata (con il D.L. 5/2009) al 200 per cento se l'ammontare dei
crediti inesistenti utilizzati è superiore a 50.000 euro per anno
solare. Da notare che la norma parla di "crediti inesistenti", mentre,
ad esempio, per il reato di indebita compensazione, l'articolo 10-quater
del D. Lgs. 74/200 fa riferimento all'utilizzo di "crediti non spettanti
o inesistenti". </p>
<p> La circolare 18/E del 10 maggio 2011 dell'agenzia delle Entrate ha
avvalorato il principio che deriva dalla norma penal-tributaria:
esistono compensazioni di crediti non spettanti e compensazioni di
crediti inesistenti. In sostanza, per l'utilizzo in compensazione di
crediti non spettanti si continua ad applicare la "vecchia" sanzione del
30 per cento, mentre per l'utilizzo di quelli inesistenti si applica la
nuova sanzione dal 100 al 200 per cento, eventualmente elevata al 200
per cento (quando l'ammontare dei crediti inesistenti supera 50.000 euro
per anno solare).</p>
<p> I crediti individuati come non spettanti sono quelli che derivano
dall'attività di liquidazione delle dichiarazioni, ai sensi degli
articoli 36-bis del Dpr 600/1973 e 54-bis del Dpr 633/1972. Infatti,
tali articoli di legge prevedono che gli uffici dell'amministrazione
finanziaria possano ridurre i crediti d'imposta esposti in misura
superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base
dei dati risultanti dalla dichiarazione. Va rilevato che anche
l'articolo 36-ter del Dpr 600/1973, che si occupa del controllo formale
delle dichiarazioni, prevede che gli uffici possono determinare i
crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle
dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti. Ad esempio, se
il contribuente ha indicato erroneamente l'entità di un credito
d'imposta che va indicato nel quadro RU di Unico e tale credito è stato
utilizzato in compensazione, la sanzione sarà pari al 30 per cento del
credito indebitamente utilizzato. Questo perché la violazione è
rilevabile sia ai sensi dell'articolo 36-bis che dell'articolo 36-ter
del Dpr 600/1973.</p>
<p> Nelle ipotesi non rientranti in tali articoli di legge, il credito,
se utilizzato in compensazione indebitamente, si può ritenere
inesistente e, quindi, si applica la sanzione "residuale" dal 100 al 200
per cento (eventualmente elevata al 200 per cento quando l'utilizzo
supera i 50.000 euro).<br />Va rilevato, tuttavia, che non rientra in
questa ipotesi l'utilizzo in compensazione di crediti derivanti da una
dichiarazione che risulta infedele. Ad esempio, si consideri il caso di
una dichiarazione annuale Iva da cui deriva un credito di 100 e tale
credito sia stato utilizzato interamente in compensazione. Se poi
l'amministrazione finanziaria rettifica tale dichiarazione in quanto
infedele, per effetto di un'indebita detrazione di 10, la sanzione si
applicherà alla dichiarazione infedele e non all'indebito utilizzo del
credito. In questo caso la penalità (articolo 5, comma 4, del D.L.
471/1997) va dal 100 al 200 per cento dell'imposta indicata
erroneamente. </p>
<p> E' lo stesso principio che si applica quando la dichiarazione (sia
dell'Iva che dei redditi e dell'Irap) infedele chiude a debito. La
sanzione riguarda la violazione "prodromica" dell'infedeltà della
dichiarazione e non quella "indotta" del minore versamento. In sostanza,
quando la dichiarazione tributaria risulta infedele l'ufficio
dell'agenzia delle Entrate applica la sanzione dal 100 al 200 per cento
dell'imposta, e non anche quella del 30 per cento prevista per l'ipotesi
del minore versamento eseguito.<br />
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