martedì 16 febbraio 2010

Apolidia originaria. Corte d'Appello accoglie richiesta di chi e' cresciuto senza identita'

Qui il comunicato online:
http://immigrazione.aduc.it/articolo/apolidia+originaria+corte+appello+accoglie_17105.php
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Apolidia originaria. Corte d'Appello accoglie richiesta di chi e' cresciuto senza identita'

intervento di Claudia Moretti, legale Aduc

Per quasi quaranta anni il singor K non ha avuto una identita' e lo scorso scorso 15 dicembre 2009, la Corte d'Appello di Firenze ha messo fine alla sua tormentata vicenda giudiziaria iniziata nel 2005, riconoscendogli il diritto all'identita', allo status di apolide originario e, dunque, al soggiorno sul territorio nazionale.
Cresciuto in Italia senza genitori, K non sa da dove viene, ne' di chi e' figlio, ne' quanti anni abbia. E' nero di carnagione, anglofono. Si ricorda di una signora che si diceva madre in tempi remoti, che e' stato da quest'ultima abbandonato e che ha vagabondato sui treni d'Europa prima, e (soprattutto) d'Italia poi, fin da bambino. Senza alcun documento di identita' e' sopravvissuto nell'ombra, con una esistenza incerta e non riconosciuta, priva di quei requisiti fondamentali che la rendono degna di esser vissuta. Non ha potuto lavorare, poiche' nessun datore di lavoro puo' stipulare un contratto se non conosce l'identita' del lavoratore. Non si e' potuto sposare, non ha potuto riconoscere la propria figlia Sarah, cittadina britannica perche' nessuno Stato al mondo gli ha mai rilasciato un passaporto dal quale gli uffici di stato civile potessero ricavare data e luogo di nascita. Non ha mai potuto possedere nulla, ne' una casa, ne' comprare un'automobile, ne' prendere in af
fitto
un appartamento, costretto da sempre a chiedere ospitalita'; ne' trascorrere una notte in albergo, poiche' privo di documenti necessari a registrare la presenza. Ha subito processi penali perche' non in possesso dei documenti da presentare alla polizia. Si e' trovato costretto a delinquere per vivere, ha scontato numerose pene detentive. Ha subito numerose espulsioni, ovviamente inattuate e inattuabili perche' le autorita' non sapevano in quale Paese rispedirlo. Non poteva andarsene, ne' poteva rimanere: non esisteva e non poteva esistere.
Col tempo, le vicende giudiziarie, le detenzioni negli istituti penitenziari e il peso della situazione hanno aggravato la situazione psicologica gia' grave, tramutandone gli sviluppi in patologia psichiatrica. In carcere e ai propri medici ha denunciato la propria apolidia, ha chiesto piu' volte alle autorita' che indagassero sulle proprie origini.
Nel 2005 si rivolge ad Aduc Immigrazione. Io e la mia collega Emmanuela Bertucci lo abbiamo assistito fin dalla prima richiesta al ministero dell'Interno, per tutto il primo grado di giudizio, fino alla sentenza di secondo grado della Corte d'Appello di Firenze, che ha "restituito" una identita', una dignita', un nome, un cognome e il diritto a soggiornare e a lavorare in Italia al sig. K, dopo il calvario e il muro di gomma delle istituzioni, amministrative e giudiziarie che per anni lo hanno ignorato e punito.
La sentenza e' una delle poche in materia di apolidia originaria (ossia quella apolidia che non deriva dalla perdita di una precedente nazionalita' tipo Cuba, Kossovo ecc... ma dal non averne mai posseduta una) e ripercorre con lucidita' e chiarezza i principi giurisprudenziali in merito all'onere della prova che incombe sull'attore. Il Sig. K valutera' adesso con i propri legali se ricorrere o meno alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per gli anni trascorsi a chieder invano il diritto all'esistenza, all'identita' e alla vita dignitosa.


Testo integrale della Sentenza n. 1654/2009
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d'appello di Firenze, Sezione I civile, composta dai magistrati:
- dott. Antonio Chini Presidente
- dott. Pietro Mascagni Consigliere rel.
- dott. Andrea Riccucci Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta sub n. 500/09 R.G., promossa da K rapp.to e difeso dall'avv. C. Moretti e con domicilio eletto presso il di lei studio in Firenze Borgo Pinti 75/R in virtu' di procura a in calce alla citazione in appello
parte appellante -
contro
MINISTERO DELL'INTERNO
- parte appellata contumace-
avente per oggetto appello avverso sentenza del Tribunale di Firenze n. 2570/08 in data 18/06 – 26/06/2008; trattenuta in decisione all' udienza del 20/10/2009 sulle seguenti conclusioni:
parte appellante: "in via cautelare l'Ecc. ma Corte d'Appello di Firenze voglia, anche inaudita altera parte, ovvero previa fissazione urgente della camera di consiglio all'uopo destinata, ordinare alle competenti autorita' amministrative la provvisoria ed immediata concessione di un titolo di soggiorno che consente lo svolgimento di attivita' lavorativa, anche eventualmente sospendendo gli effetti condannatori impliciti nei confronti dell'attore, della sentenza di primo grado, ex art. 283 c.p.c.
In via istruttoria In riforma della sentenza e delle ordinanze istruttorie impugnate, e accogliendo tutte le istanze istruttorie avanzate dall'attore nel primo grado di giudizio, disporre la rinnovazione dell'istruttoria davanti a sé ovvero rinviando gli atti per la stessa al giudice di primo grado
Nel merito, voglia l'Ecc.ma Corte d' Appello di Firenze, in riforma della sentenza impugnata –accertare e dichiarare giudizialmente l'esistenza in vita dell'attore ai sensi dell'art. 7 lett. b) D.P.R. 223 del 1989;- accertare, ovvero riconoscere, ovvero dichiarare lo status di apolide dell'attore;- ordinare alle competenti autorita' amministrative di provvedere alla formazione dell'atto di nascita dell'attore presso i registri di stato civile ai sensi dell' art. 14 D.P.R. 396 del 2000, ovvero qualsiasi provvedimento ritenga opportuno al fine di consentire allo stesso l'ottenimento di certificazione di identita'; -ordinare alle competenti autorita' amministrative di provvedere alla iscrizione del ricorrente nelle liste anagrafiche, al rilascio di carta di identita' e codice fiscale, ovvero qualsiasi altro provvedimento ritenga opportuno al fine di consentire allo stesso l'ottenimento di documenti di identita'; -ordinare alle competenti autorita' amministrative di provvedere
al
rilascio di permesso di soggiorno per motivi di apolidia, rinnovabile a tempo indeterminato, o altro titolo di soggiorno ritenuto all'uopo idoneo, che consenta di svolgere attivita' lavorativa. In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa come per legge e con liquidazione della notula professionale che sara' depositata a conclusione, in virtu' del gratuito patrocinio concesso all' attore il 28 ottobre 2008".
P.G.: "accoglimento dell' appello, previo rigetto dell'istanza cautelare".
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2570/08 in data 18/06 – 26/06/2008 rigettava le domande proposte da K contro il Ministero dell' Interno, compensando le spese di lite. L'attore aveva premesso di aver presentato a detto Ministero istanza ex art. 17 D.P.R. 572/1993 per vedersi riconosciuto lo status di apolide, ed aveva esposto le seguenti circostanze: - di non conoscere il luogo e la data della propria nascita, e di nulla sapere dei propri genitori e della propria famiglia; - di non avere nessun documento di identita' o relativo alla nascita; - di aver viaggiato per l'Europa , nell'infanzia, con una donna bianca di nome B. che si dichiarava sua madre ed affermava essere padre di esso appellante un uomo giamaicano; - di considerare K il proprio nome (nel 1972 erano stati fermati in Polonia dalla polizia e la predetta donna aveva dichiarato che il giovane che era con lei era suo figlio e che quello era il suo nome);- nel 1980 la donna era scomparsa ed egli era arriva
to in
Italia ancora minorenne; - a Palermo gli era stato rilasciato un permesso di soggiorno che gli aveva consentito di lavorare in un caseificio in provincia di Milano, ma il permesso poi non era stato rinnovato;- successivamente, rimasto in Italia, aveva alternato periodi di clandestinita' a periodi in cui era regolare grazie a permessi di soggiorno; - negli anni 1996-7 aveva convissuto a Milano con una cittadina britannica dalla quale aveva avuto una figlia (nata in Inghilterra nel 1998) che non poteva riconoscere in quanto privo di documenti di identita'; - negli ultimi 20 anni aveva vissuto in Italia commettendo vari reati, e tale situazione di non conoscenza delle proprie origini gli aveva procurato l'insorgere di patologie di tipo psichiatrico ; - attualmente viveva a Firenze presso l'abitazione della ex compagna; il Ministero dell'Interno aveva prospettato l'archiviazione dell'istanza in assenza della necessaria documentazione; - tramite il difensore aveva contattato le
ambasciate del Regno Unito, Giamaica, Marocco, Canada, Nigeria e Ghana (paesi dei quali di volta in volta si era dichiarato cittadino), ed al Ministero dell'Interno aveva chiesto rilascio dell'originale del cartellino fotodattiloscopico ricevendo un diniego.
Il Tribunale di Firenze osservava che l'attore non aveva condotto adeguate ricerche finalizzate ad acquisire informazioni di riscontro circa la madre B., e circa la fotosegnalazione nel 1972 da parte della polizia polacca. Osservava poi che la Questura di Palermo aveva smentito il rilascio di un permesso di soggiorno quantomeno ad un soggetto con le dette generalita' e che cio' "induce a dubitare dell'attendibilita' delle dichiarazioni dell'attore, che non ha pertanto minimamente assolto all'onere probatorio – almeno quale principio di prova – che su di lui incombeva".
Leggesi nella sentenza impugnata che dal certificato del casellario giudiziale risultano 34 provvedimenti a carico dell'attore dal 1993 al 2006, e che dalle informazioni della Questura di Firenze risulta che lo stesso ha fornito 47 nominativi diversi per cui, nonostante si trovi in Italia da almeno venti anni, non ha mai denunciato il proprio stato di apolide né si e' attivato per risalire all'identita' propria e dei genitori. Osservava inoltre il Tribunale che l'aver fornito ben 47 nominativi diversi dimostrava "l'intenzione radicata di occultare la propria identita' piuttosto che il bisogno, esistenziale prima che di certezza giuridica, di pervenire all'accertamento dei dati anagrafici fondamentali". In sostanza per il Tribunale l'attore era persona inattendibile che piu' che altro aveva nel tempo celato la propria identita', senza manifestare l'esigenza di risolvere un problema attinente alla propria identita' personale.
A sostegno del gravame K deduceva i seguenti motivi:
- erroneita' della sentenza per non avere ritenuto assolto da parte dell'attore l'onere probatorio circa il proprio stato di apolide, e per avere ritenuto l'inerzia dello stesso nelle ricerche circa la propria identita';
- erroneita' della sentenza conseguente alla mancata ammissione delle prove richieste, ritenute inutili senza considerare che secondo la giurisprudenza lo status di apolide deve essere ritenuto sussistente nei casi in cui il soggetto risulta non cittadino degli Stati cui in qualche modo e' ricollegabile.
Contestualmente all'appello il K proponeva una istanza cautelare tesa ad ottenere un ordine alle competenti autorita' amministrative di rilascio di "un titolo di soggiorno che consente lo svolgimento di attivita' lavorativa, anche eventualmente sospendendo gli effetti condannatori impliciti nei confronti dell'attore, della sentenza di primo grado ex art. 283 c.p.c.". Il periculum in mora veniva prospettato in relazione all'aggravarsi delle condizioni di salute mentale dell'appellante anche come conseguenza della sentenza di primo grado.
La causa veniva immediatamente trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che correttamente e' stato convenuto in giudizio il Ministero dell'interno. Al riguardo la S.C. insegna che "nel giudizio contenzioso relativo alla domanda volta ad ottenere l'accertamento dello stato di apolidia, di cui alla Convenzione di New York del 28 settembre 1954 ed all'art. 17 del D.P.R. 12 ottobre 1993 n. 572, sussiste la legittimazione passiva del Ministero dell'interno, in quanto lo straniero fa valere nel processo un diritto che gli puo' essere riconosciuto anche in via amministrativa da detto Ministero, il quale, dunque, da una ricognizione giudiziale dell'apolidia, puo' restare vincolato a certificarla" (Cass. Sez. un. 09 dicembre 2008 n. 28873). Infatti ai sensi dell' art. 17 del D.P.R. 12 ottobre 1993 n. 572 (Regolamento di esecuzione della L. 91/92) il Ministero dell'interno, su istanza dell'interessato, puo' certificare la condizione di apolidia sulla base dei documenti previsti dalla stessa norma o eventualmente di altri che il Ministero
ritenga necessari. Se i documenti (uno dei documenti richiesti e' l'atto di nascita) mancano l'interessato puo' ricorrere al giudice ordinario che "puo' avvalersi di ogni strumento istruttorio per accertare lo stato del ricorrente, dichiarandolo con una sentenza definitiva anche se instabile, perché emessa rebus sic stantibis (Cass. Sez. un. 28873/08 cit.).
Premesso che secondo la definizione della detta Convenzione di New York e' apolide colui che non e' considerato cittadino di alcuno Stato secondo le leggi dei vari Stati, deve dirsi che l'onere della prova della sussistenza di tale qualita' incombe al richiedente che puo' darla in ogni modo. Per altro non puo' non considerarsi che, al fine di non vanificare il diritto dell'interessato a vedersi riconoscere uno status di apolidia effettivamente sussistente, il contenuto della prova richiestagli deve essere ricostruito considerando che egli si trova nella impossibilita' di dare la prova negativa quanto all'essere cittadino di un qualche stato del mondo. Se il soggetto assume e documenta di essere stato cittadino di un determinato Stato e di averne persa la cittadinanza, in linea di massima non avra' difficolta' a documentare le circostanze di fatto che, secondo la legge di quello Stato, hanno determinato la perdita della cittadinanza. Ove invece – come accade nella fattis
pecie
– l'interessato assuma di non aver mai avuto una qualche cittadinanza, ed addirittura di nulla sapere con certezza, per vicende della vita assolutamente particolari, delle proprie origini e del proprio nome, luogo e data di nascita, l'onere della prova non puo' non atteggiarsi diversamente quanto al contenuto, dovendosi ritenere sufficiente un quadro indiziario che indichi il soggetto come non collegato con alcuno Stato, si' da rendere impossibili ulteriori accertamenti.
Il motivo di appello con il quale la sentenza viene censurata per aver ritenuto non fornita da parte dell'attore la prova richiesta, per essere lo stesso rimasto inerte rispetto ad accertamenti che secondo il Tribunale avrebbe potuto svolgere, appare fondato. Il Tribunale ha rilevato che l'attore non ha svolto "adeguate ricerche finalizzate ad acquisire informazioni di riscontro, in specie circa l'elemento certo ossia la madre, signora B (essendoci unicamente una missiva all'ambasciata britannica seguita da una generica risposta negativa) né circa la fotosegnalazione nel 1972 della stessa da parte della polizia polacca ….". Trattasi pero' di considerazione che non puo' essere condivisa, posto che nella vicenda non c'e' nulla di certo e tantomeno che la donna che ha accompagnato il K a giro per l'Europa fosse sua madre (anzi il fatto che ad un certo punto sia sparita e lo abbia abbandonato adolescente induce non pochi dubbi al riguardo) e che quello fosse il suo nome. Per
altro
e' documentato che l'appellante, tramite il proprio legale, ha richiesto informazioni all'Ambasciata Britannica a Roma tese a far sapere se .KK..... o K...... fosse cittadino di quello Stato o se tale fosse certa B, ricevendo una risposta di nessun aiuto posto che l'Ambasciata ha dichiarato di non essere in grado di fornire un aiuto nella identificazione dei soggetti oggetto della richiesta (cfr.fax 26/01/2006 avv. Bertucci e fax Consolato Britannico a Firenze). Non si vede poi come possa addebitarsi una inerzia all'interessato per non aver svolto ricerche presso la polizia polacca che nel lontano 1972 avrebbe fotosegnalato la predetta (sedicente) B. Di tempo ne e' passato molto e pare veramente improbabile che la polizia polacca voglia e/o sia in grado di fornire una qualche indicazione su di un fatto del quale non c'e' nessuna certezza (potrebbe essersi trattato, ad es., di un semplice controllo del quale non e' rimasta traccia negli archivi). Parimenti non puo' fondatamen
te
addebitarsi all'appellante (cfr. pag 8 sentenza) di non aver dato corso ad una indicazione del Consolato della Giamaica che, con fax del 19/04/2001, comunicava al Ministero della Giustizia italiano che non era in grado di fornire indicazioni circa certo Roberson Kelvis e che avrebbe potuto essere utile un colloquio con certa Symone Betton dell'Ambasciata giamaicana a Ginevra che "attraverso l'accento e la richiesta di dati informativi" avrebbe potuto tentare di accertare l' eventuale cittadinanza giamaicana. Accade pero' che da nulla risulta che per un qualche tempo l'appellante abbia vissuto in tale Stato per cui non si vede proprio come attraverso l'accento avrebbe potuto individuarsi un collegamento con esso.
Al contrario risulta che tramite i propri legali l'appellante ha richiesto informazioni alle ambasciate e consolati di vari Stati (Inghilterra, Giamaica, Marocco, Canada e Nigeria) dai quali lo stesso si era dichiarato proveniente, senza ottenere indicazioni di una qualche utilita'.
Dal corposo certificato penale dell'appellante risulta che egli e' in Italia almeno dal 1992 (a tale anno risale il primo reato per il quale ha subito condanna) e che, sostanzialmente, e' vissuto di espedienti. Per di piu' lo stesso soffre di disturbi mentali tanto che con una decisione (cfr. sent. Tribunale Pavia 13/01/2005) e' stato assolto perché persona non imputabile al momento del fatto, in quanto affetto da disturbo degli impulsi e da disturbo paranoide. E' poi in atti una certificazione medica, datata 20/02/2007, rilasciata dalla AUSL 11 Empoli dalla quale risulta che "il quadro psicopatologico attuale e' caratterizzato da ricorrenti crisi d'ansia e angoscia di abbandono, vissuti stabili di noia e vuoto, stati di intensa rabbia, umore disforico con idee di morte, abuso di benzodiazepine …". Nella relazione della AUSL e' altresi' indicato come le attuali condizioni siano riconducibili al vissuto del soggetto ("… questa estrema instabilita' dell'immagine di sé de
l
paziente e' molto profonda e radicata, ed e' probabilmente riconducibile alle vicende personali (padre ed eventuali familiari ignoti, madre scomparsa da un giorno all'altro, quando il paziente era con molta probabilita' adolescente, paese di origine cosi' come la data di nascita sconosciuta) ….").
Un possibile collegamento potrebbe sussistere con la Jamaica per avere il K affermato, in occasione delle numerose identificazioni, di essere nato in tale stato, ma da cio' non potrebbe inferirsi automaticamente la cittadinanza di tale stato, e del resto il Consolato Generale della Jamaica a Roma, debitamente interpellato, ha risposto di nulla sapere circa tale nominativo, se non di avere in passato ricevuto dal Ministero della Giustizia italiano una richiesta di informazioni cui non era stato possibile dare una risposta.
Il quadro indiziario delineato rende credibile l'assunto dell'appellante e opportunamente il P.G. ha rilevato che non appaiono utilmente praticabili ulteriori accertamenti, e che e' opportuno l'accoglimento dell'appello facendo in tal modo venir meno, almeno sotto il profilo dell'apolidia, una situazione di incertezza.
La Corte ritiene di aderire a tale parere e di accogliere l'appello, in quanto l'appellante per le descritte vicende della vita (del tutto sfortunate e peculiari) non ha mai avuto un qualche riferimento in genere per cui e' del tutto verosimile che oggi sia privo della cittadinanza di un qualche Stato. E' appena il grado di rilevare che la circostanza che in occasione dei vari processi abbia fornito vari nominativi, non necessariamente significa che l'appellante conosca tutto di sé ed abbia inteso celarlo: e' probabile che in una situazione di assoluta incertezza lo stesso, per scopi difensivi, si sia avvalso di piu' nomi.
Deve pertanto dichiararsi che l'appellante – il quale dichiara di chiamarsi K "di luogo e data di nascita sconosciuti, con stabile dimora in Firenze, Via......" – e' apolide. Ovviamente questa Corte non puo' che riferire l'accertamento ad un soggetto come sopra qualificatosi, essendo, sulla base degli atti, impossibile dire se quello sia il reale nome dell'appellante. Ai sensi dell'art. 14 D.P.R. 396/2000 copia della presente sentenza dovra' essere trasmessa all'Ufficiale di stato civile del Comune di Firenze per gli adempimenti di competenza.
Non rientra nei poteri di questa Corte ordinare il rilascio del permesso di soggiorno, in quanto sara' onere dell'interessato, ottenuto con la presente sentenza il riconoscimento della qualita' di apolide, inoltrare alle competenti Autorita' amministrative le istanze occorrenti per far valere i diritti che dallo status di apolide discendono.
Le spese del doppio grado devono essere compensate per la assoluta particolarita' della fattispecie.
P.Q.M.
In accoglimento del gravame, dichiara che l'appellante qualificatosi come "K, di luogo e data di nascita sconosciuti, con stabile dimora in Firenze, Via .........." e' soggetto esistente in vita ed apolide; dichiara inammissibili le ulteriori domande; compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Cosi' deciso in Firenze il 17/11/2009 su relazione del Consigliere dott. Pietro Mascagni.
Il Consigliere est. Il Presidente

COMUNICATO STAMPA DELL'ADUC
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