lunedì 16 novembre 2009

Suicidio in cella a Udine, Smiroldo attacca il sistema penitenziario italiano

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COMUNICATO STAMPA

Suicidio in cella a Udine, Smiroldo attacca il sistema penitenziario italiano

Il responsabile per il Friuli Venezia Giulia dell'Italia dei Diritti: "A volte le nostre carceri sono paragonabili a dei lager, a causa delle condizioni disumane in cui versano i reclusi"

Roma, 16 novembre 2009 - "Esprimo tristezza per il modo in cui vengono trattate le persone, siano esse delinquenti o anche assassini. Nelle nostre carceri manca proprio il rispetto per la persona, non c'è alcun rapporto di fiducia con i detenuti, quel rapporto che invece era riuscito ad instaurare Giovanni Falcone, che otteneva confessioni e informazioni importanti da mafiosi e criminali puntando su una relazione fiduciaria con il malvivente, che prima di tutto è un essere umano. Non conosco nel dettaglio la vicenda giudiziaria di Vidali, ma la sua morte in cella getta un'ombra ulteriore sul sistema penitenziario italiano, e in generale sulla giustizia del nostro Paese". Sono le parole di Luigino Smiroldo, responsabile per il Friuli Venezia Giulia dell'Italia dei Diritti, riferite al suicidio, nel carcere di Tolmezzo, dell'imprenditore navale Bruno Vidali, detenuto con l'accusa di essere il presunto mandante di un tentato omicidio avvenuto nella Laguna veneta nel 2008. L'uomo, deceduto per soffocamento dopo aver infilato la testa in un sacchetto di plastica, si era sempre dichiarato innocente e gli erano stati negati gli arresti domiciliari, concessi invece all'esecutore materiale del gesto criminoso.

"Non c'è da stupirsi se i suicidi nei penitenziari italiani sono in continuo aumento - spiega il referente friulano del movimento presieduto da Antonello De Pierro - Duole ammettere che in certi casi di totale sprezzo dei prigionieri, il suicidio appaia a questi soggetti come l'unica via di uscita da tanta sofferenza. Si tratta di una grave mancanza di riguardo verso la vita delle persone. Le istituzioni giudiziarie non devono mai dimenticare che hanno a che fare con esseri umani, spesso fragili, soli, deboli caratterialmente o fisicamente".

A margine del suo commento arriva il duro affondo di Smiroldo: "Chiamiamo le cose con il proprio nome: le nostre carceri, a volte, sono paragonabili a dei lager, a causa delle condizioni disumane in cui versano i reclusi: filo spinato sui muri di cinta, sovraffollamento indecoroso, condizioni igienico-sanitarie precarie o inesistenti, carenza dei requisiti minimi di organizzazione. Anche in veste di viceresponsabile per la Sanità dell'Italia dei Diritti - conclude Smiroldo - chiedo maggiori controlli sanitari, supporto psicologico adeguato e soprattutto rispetto per tutte le persone ospitate nelle case di detenzione italiane".

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