mercoledì 10 dicembre 2008

Marco Milia L'ultraterrena sospensione

Marco Milia
L'ultraterrena sospensione
A cura di: Lorenzo Argentino e Vera Carminati
Spazio 4/Giovanola Multimedia
Indagine su un artista al di sopra di ogni sospetto
La cultura della città contemporanea si fonda sulla dialettica tra luoghi e
non luoghi. Spazi di aggregazione che devono accogliere le diversità, ma
rinunciano a integrarle e le accostano in passaggi netti, in cui centro e
periferia senza soluzione di continuità migrano fino alla radura di ciò che sta
fuori dal cerchio protetto (e maledetto) della vis edificatoria. L'orizzonte si
sdoppia e le prospettive si moltiplicano, plurali e multiformi. La dialettica
inevasa e la sfida della nuova architettura è il contrasto fruttuoso tra
desiderio e condizione reale (magari degradata) della città così com'è. Forse
la soluzione è spostare per un momento l'attenzione dalla terra al cielo e
osservare, come da un ponte, l'assenza. La distanza diventa così motore per
progettare nuovi luoghi. Milia ci conduce a Bauci per far sentire l'urgenza di
un ritorno, di una discesa più consapevole. La sua scrittura è rigorosa, solo l'
essenziale è ritenuto nella geometria dei neri, della luce – aria – e dell'
ombra – costruzione, materia. Oppure nero è il vuoto dell'immaginazione, il
magma della creazione, il punto a capo della rivoluzione. Lo stacco è occasione
per accogliere, nuovamente, l'utopia come forza trasformativa. L'arte corre
veloce là a indicare un punto: l'ideale regolativo di una nuova architettura.
Sospendere il costruito – ciò che per antonomasia affonda le radici nella terra
– determina inevitabilmente una differenza nella percezione degli spazi e dei
luoghi: ne sono un esempio le città sospese di Maymont o le architetture eteree
di Murcutt. Nello slancio contro la gravità della Città dorsale lo spazio si
incurva a seguire l'intenzione di ritagliare un luogo per vivere. Assoluta e
perfetta è la sua inclinazione, eppure si avverte un continuo mutamento, lo
sviluppo di una forma palpitante. Fantastica, onirica, ma così concreta da
condividere le stesse fibre dell'umano, le stesse leggi del cuore, che conosce,
e della mente, che pulsa di acuti slanci e articolazioni sottili. Quadrato,
curvo, retto. Nulla di più. Pesi e forze. Oltrepassamenti e passaggi.
Inquietudine e riposo. Il ritmo – lucidamente catturato da Milia – dello
scorrere del tempo è impresso nello spazio da linee pure, definitive, nella
loro ultraterrena sospensione. E la città diventa così una concezione dell'uomo
– dell'universo – che lo supera e lo invera. Il tutto che parla con le sue
parole: quadrato, curvo, retto, pesante, leggero. Il microcosmo e il
macrocosmo scandiscono le stesse lettere, la natura e l'artificio scambiano i
loro ruoli. L'aspirazione all'abbandono della quotidianità eterogenea della
città in cui ci troviamo vola dritta alla potenza cristallina e abissale dell'
utopia. Una rigorosa scrittura che sottende la sotterranea indeterminatezza del
desiderio. Pieno e vuoto, perno e caduta libera. Arte e cambiamento. La
bellezza salva e condanna a sentire l'umano fino in fondo, la sua aspirazione,
la sua insoddisfazione, la sua ricerca, la sua freddezza, il brulicare
straripante delle idee, il suo tendere non circoscritto. E l'oro della campagna
inondata dal sole estivo spalma forme di luce all'orizzonte – piane, basse,
chiuse – contro la verticalità specchiante della città contemporanea, la sua
rinuncia alla quiete, il suo pugno – forte – scagliato verso il cielo. Sfida al
divino, che, inatteso, si raccoglie nello stupore concavo di una piega, di una
melodia e – geroglifico della possibilità insoluta – nell'arcuata voluta dello
sguardo, su fino a Bauci, a percorrere la schiena della città dorsale, a
cercare orizzonti mai definitivi. Ma l'uomo non è solo Arcadia.
Inaugurazione: Lunedì 15/12/2008 alle ore 18.30
La mostra resterà aperta da lunedì a giovedì in orario da definire fino al
giorno 14/1/2009
INGRESSO LIBERO