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sabato 13 maggio 2017
comunicato su evento teatrale a Milano (venerdì 19 maggio)
venerdì 12 maggio 2017
Nota stampa - Manovra: M5S, Dare a Tpl soldi destinati a Tav e grandi opere
Nota stampa
Manovra: M5S, Dare a Tpl soldi destinati a Tav e grandi opere
Alcuni dati: dal Governo altri 2 miliardi alla Tav Torino-Lione in aggiunta a 840 milioni complessivi per il 2013-2015. In emendamenti M5S la stessa cifra al Trasporto Pubblico Locale più detrazioni fino al 100% per pendolari e incentivi per Tpl gratis a disoccupati
Gli esercizi pubblici hanno l’obbligo di avere una toilette funzionante, ma possono impedirne l’accesso a coloro che non sono clienti!
Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)
Gli esercizi pubblici hanno l'obbligo di avere una toilette funzionante, ma possono impedirne l'accesso a coloro che non sono clienti!
Sia la normativa di legge, attualmente in vigore,sia la giurisprudenza non riconoscono un diritto all'utilizzo del bagno nei locali pubblici, tranne che per i clienti degli esercizi commerciali. In buona sostanza non esiste, ex lege, alcun diritto all'utilizzo del bagno in bar e ristoranti, a meno di non aver consumato qualcosa presso l'esercizio commerciale.
L'argomento è tutt'altro che banale ed è di interesse diffuso perché praticamente a tutti è capitato di aver necessità di espletare necessarie esigenze fisiologiche fuori casa e di doversi infilare nel primo locale a disposizione.
La premessa necessaria dalla quale argomentare è che, allo stato, la legge impone che nel locale, in quanto pubblico, debba sempre essere presente una toilette, ma nessuna norma impone al proprietario del bar/ristorante/negozio di farvi accedere chiunque ne abbia necessità, compreso chi soffra di problemi alle vie urinarie.
Ben differente è,invece, il discorso in cui il personale nel bar o ristorante imponga il diritto al bagno solo solo ai clienti che abbiano "consumato", ossia acquistato qualcosa, anche solo un caffè, un pacchetto di gomme o altro esborso anche minimo che in qualche modo "giustifichi" l'utilizzo del servizio igienico.
Il proprietario del bar o ristorante è tenuto ad avere una toilette a norma e funzionante, che possa essere utilizzato dal personale e dai clienti. In caso contrario, infatti, è passabile di sanzioni: l'avventore che si è visto rifiutare l'uso del bagno, ad esempio perché non c'è o è fuori uso, potrà chiamare le forze dell'ordine per una verifica.
A giusta ragione è maggiormente tutelato il "cliente" ossia colui che ha ordinato e pagato una consumazione. Solo a costui, infatti, (salvo modifiche apportate dalle normative locali) l'art. 187 del Tulps (Testo unico delle leggi sulla Pubblica Sicurezza) riconosce il diritto ad avere un bagno messo a disposizione, gratuitamente, dal gestore dell'esercizio. Secondo la norma, infatti, gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo!
Di contro, il semplice "passante" che nulla acquista o consuma, invece, non potrà rivendicare alcun "diritto al bagno", anche se affetto da serie patologie, a meno che l'esercente non sia particolarmente disponibile o comprensivo.
Una simile disciplina ha sollevato polemiche da più fronti: se da un lato gli esercenti dei locali si difendono sottolineando le spese di varia natura (manutentive, elettricità, acqua, sapone, carta igienica) a cui andrebbero incontro rendendo "promiscuo" l'accesso alle toilette, dall'altro molti uomini di legge e giuristi noti, come l'avv. Eugenio Gargiulo, 47 anni di Foggia, ritengono che "un locale pubblico debba sempre mettere i bagni a disposizione di tutti, salvo ovviamente casi eccezionali" per sensibilità verso i potenziali clienti.
Sulla delicata questione giuridica ,va evidenziato che è intervenuta perfino una sentenza del Tar Toscana, n. 691 del 18/2/2010. Il giudice amministrativo è partito dal presupposto che il pubblico esercizio è un'attività economica, preordinato alla soddisfazione dei clienti, pertanto i servizi igienici sarebbero riservati solo a quest'ultimi. Ancora, prosegue il provvedimento, "è agevole ribattere che una cosa è l'attività di pulizia e manutenzione di un locale destinato ad uso bagno, se ne possono far uso un numero limitato ed in una certa misura preventivabile di persone, tutt'altra cosa è tale attività, se a poter fruire del locale destinato a bagno è la generalità del pubblico, cioè, all'occorrenza, masse di persone ingenti e non predeterminabili (si pensi ad es. agli afflussi di pubblico, formato non soltanto da turisti, in occasione di famose manifestazioni culturali e cerimonie)".
Una sentenza che ha alimentato ancor di più le polemiche, soprattutto in virtù delle conseguenze che potrebbe subire il rifiuto dell'uso della toilette a persone affette da determinate patologie, o comunque in condizioni fisiche particolari, e non in possesso dei soldi per consumare. Per effetto del rifiuto, ad esempio, il "passante" costretto a trattenersi potrebbe anche subire un malore o altre conseguenze fisiche.
E' per motivazioni importanti come questa , nonché a causa della cronica assenza o insufficienza di bagni pubblici nelle principali città italiane ( come ad esempio Foggia!) – conclude l'avv. Eugenio Gargiulo – che l'uso delle toilette degli esercizi pubblici, dovrebbe essere accessibile a tutti senza limitazioni di sorta. "Resta inteso che l'utente che utilizza una toilette, dovrebbe prestare la massima attenzione nel mantenere pulito e funzionale il servizio, a maggior ragione se tale servizio viene usato gratuitamente"!!!
Foggia, 12 maggio 2017 avv. Eugenio Gargiulo
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giovedì 11 maggio 2017
Sentenza epocale :in caso di separazione giudiziale, l’assegno di mantenimento verrà determinato in base al criterio di “autosufficienza” dell’ex moglie e non più del “precedente tenore di vita coniugale”!!!
Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)
Sentenza epocale :in caso di separazione giudiziale, l'assegno di mantenimento verrà determinato in base al criterio di "autosufficienza" dell'ex moglie e non più del "precedente tenore di vita coniugale"!!!
La Suprema Corte di Cassazione compie una vera e propria "svolta epocale" in materia di assegno di divorzio che fino ad oggi, con 30 anni di indirizzo costante, era collegato nella sua entità al parametro del "tenore di vita matrimoniale".
Un principio giuridico e giurisprudenziale che, finalmente, da oggi viene abbandonato per lasciare il posto a un "parametro di spettanza" basato sulla valutazione dell'indipendenza o dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge che lo richiede. Il matrimonio quindi non è più la "sistemazione definitiva": sposarsi, scrive la Corte, è un "atto di libertà e autoresponsabilità".
Di fatto ed in buona sostanza, quindi, con la recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione è stato "abolito" il criterio del tenore di vita goduto durante le nozze.
Difatti, la Cassazione con la sentenza n. 11504/17, ha rivoluzionato il diritto di famiglia in tema di riconoscimento dell'assegno divorzile e dei criteri per la sua quantificazione. La Suprema Corte ha infatti cambiato il criterio per riconoscere l'assegno al coniuge economicamente più debole e ha ritenuto che non sia più possibile valutare come parametro il tenore di vita dei coniugi goduto in costanza di matrimonio.
E' opinione degli 'ermellini' del Palazzaccio che l'assegno divorzile possa essere riconosciuto soltanto se chi lo richiede dimostri di non poter procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento . Così, viene spazzato via un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio in Italia.
Ecco i principali "indici" - forniti dal verdetto 11504 della Cassazione sull'assegno di divorzio - "per accertare" la sussistenza, o meno, "dell'indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno e quindi l'adeguatezza, o meno, dei "mezzi", nonché la possibilità, o meno, "per ragioni oggettive, di procurarseli. Sono quattro: "1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri 'lato sensu' imposti e del costo della vita nel luogo di residenza, inteso come dimora abituale, della persona che richiede l'assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione".
Alla stregua dei suddetti "indici" , pertanto, chi chiede di "essere mantenuto" dovrà fornire prove concrete per dimostrare di non poterlo fare per proprio conto, compresi pure i vani tentativi di procurarsi un lavoro. Tocca infatti all'ex coniuge che chiede l'assegno, "allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive". "Tale onere probatorio - spiega la Cassazione - ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell'indipendenza economica, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo ex coniuge, restando fermo, ovviamente il diritto all'eccezione e alla prova contraria dell'altro" ex coniuge al quale l'assegno è chiesto. In particolare, prosegue la Suprema Corte, "mentre il possesso di redditi e cespiti patrimoniali formerà oggetto di prove documentali, soprattutto le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l'onere del richiedente l'assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell'indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative".
Sull'argomento interviene anche il noto legale foggiano, avv. Eugenio Gargiulo il quale evidenzia come la recentissima sentenza della Suprema Corte rappresenti una vera e propria rivoluzione copernicana in materia di determinazione dell'assegno di mantenimento divorzile: " …Si tratta quindi di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei nei quali l'assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali".
« La donna resta comunque tutelata – conclude l'avv. Eugenio Gargiulo – perché, quando nel 1975 fu decretato il principio dell´uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, veniva affermata la dignità delle donne. Ma la dignità sta proprio nell´autoresponsabilità e nell´autonomia economica».
Pertanto ,con la sentenza rivoluzionaria della Cassazione le donne finalmente impareranno a difendere il loro diritto alla dignità, all´autonomia e al lavoro!
Foggia, 11 maggio 2017 avv. Eugenio Gargiulo
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