Mario Tonino è tra i rinomati artisti protagonisti della mostra collettiva allestita nell'esclusivo
contesto storico della galleria milanese "Milano Art Gallery" in via Alessi 11, adiacente alla zona
del Duomo e del centro cittadino. L'evento espositivo, organizzato dal manager produttore
Salvo Nugnes si svolgerà dal 20 dicembre 2014 al 9 gennaio 2015 con inaugurazione prevista
in data sabato 20 dicembre alle ore 18.00. Ospite d'eccezione sarà Andrea Pinketts, scrittore di
successo e popolare volto televisivo di Mediaset, che prenderà parte al vernissage.
Tonino ha ideato e sviluppato una peculiare ricerca di sperimentazione stilistica applicata
all'espressività della materia nel suo essere energia, stimolandolo a fondare nel 2010 un
movimento artistico denominato "Dunstschleier Kunst" concepito come un simbolico contenitore
innovazioni creative ed esperienze avveniristiche. Quel che davvero cerca e vuole è di dar forma alle sue idee espressive, seguendo l'istinto di accostare tra loro materie eterogenee, colori forti, contrasti imprevisti. "Un cri devient art". Lo disse Hartung, a Venezia nel 1966 per la Biennale, per sintetizzare il suo gesto. Mi sembra perfetto per Mario Tonino, forte di quella forza espressionista che l'artista tedesco
scandiva nelle sue sciabolate gestuali, straordinariamente consona nell'approccio concettuale all'arte
che concepisce la sua perfezione soltanto quando anche l'aspetto etico arriva a completarne
quello formale, costringendo il significante a manifestare un'anima. Si sente l'alito degli dei
e dei santi - della gente - nelle sue sculture figlie di una imagerie che sa evocare sapienze ancestrali,
antiche di territorio e di popolo, non di luogo, ché uno dei peculiari pregi di queste opere
è la loro culturale ubiquità, che prevaricano con la loro espressività la retorica. Sono immagini
che derivano da un lavorio intellettuale che precede e condiziona l'attività manuale, il plasticare
acribico e convulso che interviene sulla macerazione che la natura compie sulle sue vittime
contorte. Ciò che importa è la suggestione primaria di queste forme, crescenze e fratture, sensuali
insieme e dolorose, serendipicamente ricche di una identità plastica intrinseca che già mentre
si trova perde la sua casualità preziosa, assurgendo a emblema. È far crescere sul tavolo da
scultura, su quei reperti resi già essi stessi opera, la saggezza del significato, lo spettacolo dei corpi
e delle ombre, la sacralità del diplòos, l'allegoria della memoria. Con una costruzione implacabile
di figuratività, che si avvale di rimandi al surrealismo correlati da proiezioni in un inconscio sciamano,
scandite dalla negazione dei problemi plastici riferiti all'imitazione di una realtà negata insieme
alla temporalità, nel rifiuto dichiarato della dipendenza del gesto artistico dalla ragione. Una
densità anomala del tempo e dello spazio che derivano unicamente dal digitare ora fitto ora convulso,
innervato e concitato che accresce e riduce, aggiunge e scarnifica una forma frutto in fieri
di avvenimenti e interrogazioni, gestazione assorta e attenta, precisa infine, non appena doppiato
lo scoglio del rimuginio e del sospetto, e prosciugata dall'eccesso. Fra il drammatico e il grottesco,
il tragico e l'ironico, con eccessi che provocano il compianto, spingono alla beffa. Talvolta
nella trasposizione serena del quotidiano, costeggiando la cronaca; altrove accettando il riferimento
a modelli più aulici, sorseggiando la tradizione culturale; spesso indagando a fondo la carica
terribile del misterioso, insito nelle costrizioni-violenze che il magma sopporta nel suo viaggio
nascosto a cercare linfe vitali nelle viscere della terra da cui esce con l'impeto costruttivo della
lava. «Non dipingo quadri per decorare - diceva Picasso - costruisco strumenti di guerra». Anche
Mario Tonino con le sue sculture mette in crisi la razionalità. È secondaria la piacevolezza dell'opera,
la cui forza di attrazione costringe chi guarda a cambiare il suo atteggiamento di approccio
all'arte: oggi non è più concessa la contemplazione tranquilla, l'arte ha rifiutato la prevalenza
estetizzante ed anonima, ha smesso di centellinare sensazioni squisite: «Un cri devient art» e finalmente
lo spettatore smette di sfarfallare di superficie in superficie e partecipa alla rappresentazione,
ne diventa protagonista.