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lunedì 7 luglio 2014

TEATRI DI PIETRA LAZIO 2014: ENEIDE - CIASCUNO PATISCE LA PROPRIA OMBRA - 10 LUGLIO ORE 21.15 - ARCO DI MALBORGHETTO

 

 

 

 

 

 

 

Arte e Spettacolo Domovoj

in collaborazione con

TEATRO ARGOT STUDIO e DOMINIO PUBBLICO

 

E N E I D E

CIASCUNO PATISCE LA PROPRIA OMBRA

 

 

Da Virgilio, Ovidio, Marlowe

drammaturgia e regia Matteo Tarasco

con Viviana Altieri , Nadia Kibout, Giulia Innocenti

Scene e Luci Matteo Tarasco - Costumi Chiara Aversano

 

10 Luglio 2014

Ore 21.15

 

Area Archeologica Arco di Malborghetto    

Via Flaminia in direzione Terni, altezza stazione RomaNord/Sacrofano

 

 

ENEIDE Ciascuno Patisce la Propria Ombra è uno spettacolo teatrale unico e innovativo: immaginiamo di creare un affresco di luce e suoni che riesca a rievocare le sensazioni e le emozioni di una epopea mitica, per riscoprire meandri più segreti di questa storia immortale, ove scopriremo che, in questa nostra epoca priva di eroi, del grande Enea altro non è rimasta che l’ombra. Immaginiamo di raccontare il mito di Enea, dalla caduta di Troia sino allo sbarco sulle coste italiche, attraverso la testimonianza delle donne che lo hanno incontrato, amato e rinnegato: la moglie Creusa, che si perde durante la fuga da Troia in fiamme, assediata dall’esercito greco; l’amante Didone, la regina africana alla quale l’eroe naufrago racconta la sua storia, prima di abbandonarla, innamorata e infelice, per inseguire il proprio destino; la Sibilla Cumana, la maga che introduce Enea nei misteri del mondo infero, dove l’eroe riceverà la profezia del suo glorioso futuro.   

Finalità dello spettacolo è la celebrazione, attraverso lo strumento del teatro e della musica, delle più antiche origini storiche e religiose della nostra tradizione.

 

 

Note di regia

Una fulgida oscurità ammanta l’epopea della guerra di Troia: oscure sono le trame della storia, fulgido il mito. Potremmo raccontare la storia dell’uomo nei secoli, attraverso le differenti culture dominanti in Occidente, come il perenne conflitto tra due istanze contrapposte: tradurre in immagini fantastiche la realtà, o, al contrario, tradurre in realtà la fantasia.

In questo percorso d’individuazione, il Teatro è stato sempre strumento principe, luogo di scoperta e contenitore di racconti di miti, specchio dell’essere umano.

Già gli antichi Greci - coloro che primi codificarono in forma scritta e in codici performativi, l’arcaica prassi del Teatro – sapevano, grazie alla lezione di Eraclito, che “la natura ama nascondersi”.  E pertanto, considerando la Natura come madre di Verità, cercarono, attraverso il Teatro, uno specchio capace di coglierne i riflessi; cercarono, attraverso il Teatro e le sue modalità espressive che tendevano all’individuazione del sé (la agnizione preludio di purificazione), una eco di quella visione interiore profonda di cui l’essere umano è portatore.

Il Teatro era dunque – ed è tuttora – uno sguardo sull’essere e, in quanto sguardo, nessuna immagine speculare lo può contenere.

La magia del Teatro è insita nella sua fuggevolezza: quando ci specchiamo, vediamo la nostra immagine, ma non lo sguardo che la determina. Lo sguardo, come il Teatro è dietro l’immagine che vede, ama nascondersi, come la natura di Eraclito, e pertanto, forse, la vera essenza dell’essere umano, il vero sé, è al di là dell’immagine, oltre i confini della visione, nell’immaginazione appunto, in tutto ciò che noi chiamiamo fantasia. Il Teatro, fabbrica di quella particolare fantasia chiamata realtà, con le sue scene, storie e racconti, ci rimanda un residuo di visone sull’essere, ci mette in contatto con la sua invisibilità, e indicibilità, che il più delle volte non si lascia percepire, o sembra marginale. Il Teatro contiene un margine essenziale di non-detto, entro cui si cela il nostro essere, e, mediante l’uso della maschera, induce l’uomo a rapportarsi con emblemi del sé che lo connotano, lo caratterizzano e lo inducono a trovare un’identità. La maschera funge da catalizzatore d’istanze inconsce presenti nell’essere umano, per quanto non mai esercitate o esercitabili.

Pensiamo ad esempio all’eroe tragico Amleto, che si dimena e si lacera sul limite dell’”essere” (e del “non essere”): il suo destino induce a riflettere, e modifica così la direzione del divenire personale di chi riflette. Amleto esprime tutto questo in due versi: “Il tempo è fuor di squadra, maledetta dannazione/ essere venuto al mondo per rimetterlo in sesto.”

Mettere in scena ENEIDE oggi, significa esser consapevoli di tutto questo, significa sfidare, sulle assi del palcoscenico, l’essenza più profonda del proprio essere, significa cercare di rimettere il mondo in sesto come novelli Amleto, con l’arma tagliente del Teatro.

La nostra Eneide è una sfida lanciata agli spettatori: una sfida a valicare il confine dello specchio, una sfida a spogliarsi della maschera per offrirsi nudi al cospetto di Verità.

 

 

 

 

 

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